La nascita dei giovani

Quando nascono “i giovani”? Una categoria inventata nel Novecento

  1. L’illusione dell’eternità: una categoria che crediamo antica

“I giovani” sono oggi un’ossessione del discorso pubblico: ne parlano i politici, i sociologi, gli annunci pubblicitari. Eppure, questa categoria che diamo per scontata è un’invenzione sorprendentemente recente. Certo, già Cicerone osservava che “la gioventù è dedita al piacere”, e Leopardi scriveva della “detestata soglia” dell’età adulta. Ma questi riferimenti non descrivono i “giovani” come li intendiamo oggi: parlavano piuttosto di una fase di transizione, in cui l’individuo era ancora soggetto all’autorità paterna, non ancora pienamente inserito nella società, ma già vicino alla maturità sociale (e alla morte precoce, data l’aspettativa di vita dell’epoca).

  1. L’assenza dei giovani nella storia

Se scorriamo la letteratura premoderna, scopriamo che i “giovani” come categoria sociale semplicemente non esistevano:

Dante e Beatrice: Quando Dante incontra Beatrice, lei ha appena 9 anni; quando muore, ne ha 24. Eppure, nella Vita Nova, il poeta la descrive come una figura angelica, non come una “ragazza” nel senso contemporaneo.

Amori “bambini”: Giulietta ha 13 anni, Paolo e Francesca sono adolescenti, ma nessuno li definirebbe “giovani” nel senso odierno: erano semplicemente individui in una fase della vita, senza identità generazionale.

Niente adolescenza per i poveri: Per i non nobili, non esisteva neppure una fase di transizione: si passava direttamente dall’infanzia al lavoro nei campi o in bottega.

  1. La nascita dei “giovani”: scuola, consumi e rivoluzione demografica

La categoria “giovani” emerge solo nel XX secolo, e per tre motivi principali:

  1. La scolarizzazione di massa: prima del Novecento, solo l’élite studiava oltre l’infanzia. Con l’obbligo scolastico, milioni di ragazzi restano “in attesa” di entrare nel mondo del lavoro, creando una nuova classe sociale.
  2. L’economia dei consumi: negli anni ’50, il mercato scopre i teenager come target: nascono abbigliamento, musica e linguaggi specifici (il termine teenager viene coniato nel 1944).
  3. La rivoluzione demografica: l’allungamento della vita (e della giovinezza) trasforma i 15-25 anni in una fase autonoma, non più mera preparazione all’età adulta.
  4. Il paradosso della giovinezza: un’identità senza durata

Eppure, questa categoria appena nata domina già il nostro immaginario: dobbiamo essere eternamente giovani, anche se la giovinezza – come concetto sociale – esiste da meno di un secolo. È un’identità senza radici storiche, ma onnipotente: i “giovani” sono contemporaneamente il futuro da educare, il problema da controllare e il sogno da vendere.

  1. Una categoria da decostruire

Riconoscere che “i giovani” sono un’invenzione recente ci permette di criticarne le narrazioni tossiche: la retorica dello “scontro generazionale” (che ignora come le generazioni siano costruzioni artificiali); l’eterno rimpianto della giovinezza, reso possibile solo da una società che la mitizza da pochi decenni.

Forse, smettere di parlare di “giovani” come categoria monolitica sarebbe il primo passo per una discussione più onesta.

Roberto Damico (da facebook)

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