Le vere domande sul conflitto Iran Israele

Possiamo andare avanti tra polemiche “umanitarie” e ridicoli appelli al cessate il fuoco? Si accusa Netanyahu di non avere una strategia, ma tutti i governi occidentali non vanno oltre l’ottusa difesa dello “status quo”. Al contrario gli islamisti una strategia ce l’hanno e la confermano di continuo: abbattere Israele, combattere l’Occidente. Simile la strategia di Putin ribadita proprio in questi giorni in occasione del vertice col presidente dell’Iran: creare un nuovo ordine mondiale che emargini le liberaldemocrazie. Parole vuote e un po’ di retorica per camuffare la scelta della guerra per cambiare gli equilibri mondiali. Ucraina e Medio oriente sono le leve sulle quali si svolgerà questo tentativo.

“Quando il saggio indica la luna lo stolto guarda il dito”. Un proverbio che descrive bene l’approccio di gran parte dei governi, delle opinioni pubbliche e dei media occidentali. Di uno scenario così chiaro si colgono solo i dettagli delle vittime civili a Gaza o gli spari sull’inutile missione Onu in Libano. Se si è capito quale è la posta in gioco la riproposizione della ricerca della pace attraverso il dialogo delle diplomazie prescindendo dalla sconfitta delle mire imperiali della Russia e dell’Iran è priva di significato e condanna l’Occidente alla passività. Stati Uniti compresi.

Il caso dell’Iran ha caratteristiche originali perché si muove in nome di un fanatismo religioso che guarda molto oltre la sua dimensione geopolitica. L’Iran si pone come il nucleo centrale di ambiti più vasti. Il primo è il Medio oriente, il secondo è il nord Africa, il terzo è la penisola arabica, il quarto è il mondo musulmano con i suoi due miliardi di fedeli accomunati da una religione che ha forti caratteristiche espansive, che è votata ad acquisire la supremazia sulle altre fedi, che pretende di comandare gli stati e che è il più grande generatore di guerre e terrorismo dell’epoca contemporanea. Percorso da scontri tra fazioni quel mondo ritrova un carattere unitario nella distanza dalla cultura e dallo stile di vita occidentali. Libertà, uguaglianza tra uomini e donne e laicità dello stato sono gli assi sui quali si concretizza questa distanza. L’Iran ambisce ad imporsi come il paese islamico che ha sconfitto Israele, che si arma con la bomba atomica e che si candida a guidare il mondo musulmano contro l’Occidente.

Su Israele si è concentrato tutto l’odio delle masse arabe e musulmane e l’odio è un potente fattore di mobilitazione e di unificazione. Un odio voluto dai regimi arabi/islamici. Paese piccolo e con pochi milioni di abitanti Israele subisce una discriminazione su basi religiose (il Corano auspica lo sterminio degli ebrei) e un’altra perché è un paese occidentale prospero e potente che rappresenta il trionfo della libertà che si traduce in sviluppo economico e progresso sociale. Uno dei cardini della nozione di Occidente. Tutto il contrario del mondo arabo/islamico segnato da profonda arretratezza e da sottosviluppo. L’odio è un potente diversivo per assoggettare le menti, utilissimo per trasformare in colpe del nemico la propria incapacità a garantire il benessere della popolazione. Così gli ebrei vengono additati come colpevoli in combutta con i paesi occidentali che hanno sconfitto l’Impero ottomano e colonizzato l’Africa. Le responsabilità del sottosviluppo vengono allontanate da chi governa e da una fede religiosa – l’Islam – che nega il valore della libertà, condanna le donne ad un ruolo marginale e sottomesso e blocca lo sviluppo economico.

In questo contesto la questione palestinese costituisce una rendita di enorme valore per i regimi arabi/islamici reazionari, corrotti e falliti. Nessuno li abbatterà. Anche se perdono le guerre non rischiano nulla perché Israele non deve convertire nessuno e non ha ambizioni imperiali. Israele vuole solo vivere in pace perché è l’unica condizione nella quale può prosperare. I regimi arabi/islamici al contrario hanno (o, meglio, avevano) bisogno della guerra (e dell’odio) per mantenere il potere. Ecco il perché delle guerre scatenate fin dal 1948 quando l’Onu decise di suddividere il territorio tra arabi ed ebrei. Ed ecco il perché non è mai stato possibile raggiungere una pace stabile tra Israele e palestinesi. Tutti i piani di pace sono stati rifiutati dalle leadership palestinesi in un gioco al rialzo accompagnato dal terrorismo e dal vittimismo che scaricava sugli israeliani e sul capitalismo mondiale le proprie incapacità. La risposta israeliana è stata una progressiva chiusura che ha portato al successo le forze della destra e ha permesso la violenza dei coloni. Di fronte all’impossibilità di convivere una parte degli israeliani ha scelto di spingere indietro i palestinesi confinandoli in territori sempre più ristretti.

Nel corso degli anni la situazione è mutata, ci sono stati accordi di pace con Egitto e Giordania e nel 2020 i Patti di Abramo hanno indicato la volontà della maggior parte degli stati arabi sunniti di collaborare con Israele per un nuovo assetto in Medio oriente. Contro questa svolta si è mosso l’Iran scatenando la guerra di Hamas, di Hezbollah e degli Houthi. Una guerra che non si risolverà con tregue e finti accordi di pace. Occorre smantellare la possibilità che l’Iran (e quindi Hamas, Hezbollah, Jihad, Houthi) tenga ancora sotto scacco Israele come ha fatto negli ultimi venti anni. Per questo le azioni militari di Israele sono il più grande impegno di pace oggi concepibile in Medio oriente. Solo dopo la sconfitta dell’Iran e la  messa in sicurezza di Gaza, del Libano si potrà ricostruire la pace e anche un’autonomia palestinese.

Tornando al “dito e alla luna” è triste constatare che i governi e parte delle opinioni pubbliche nonché quasi tutti i media occidentali esprimano uno stato di minorità culturale e politica spaventoso. Nei fatti molti hanno scelto di schierarsi dalla parte dell’islamismo e contro Israele. Ossia dalla parte più reazionaria, disumana e folle dell’umanità. Ad ogni analisi razionale il mondo dell’islamismo (cui appartiene da tempo l’estremismo palestinese) questo è: negazione di ogni libertà, dura repressione delle donne, genocidio degli ebrei dichiarato e perseguito, sottomissione degli infedeli in un quadro di drammatico sottosviluppo economico. Da questo lato dell’umanità non abbiamo nulla da imparare, dobbiamo solo difenderci.

Oggi l’Occidente è un gigante economico dilaniato dalle sue contraddizioni. Cultore della tolleranza e della libertà è incapace di contrastare quelli che lo attaccano usando le sue regole estremamente permissive per instaurare un predominio nel quale spegnere ogni dissenso. Alle identità forti di chi proviene da mondi arretrati dominati dall’Islam non viene contrapposta una identità altrettanto forte basata sulla triade “libertà, uguaglianza, laicità”. Nella comunicazione pubblica si cade nella trappola dell’odio per il mondo occidentale e si esaltano immigrati e palestinesi come esempi di virtù multiculturali e di resistenza. In cosa dovrebbero riconoscersi i cittadini degli stati occidentali se la storia dell’Occidente viene proposta come una sequela di crimini e di ingiustizie?

L’immigrazione che da decenni ci è imposta viene adesso presentata come la panacea di tutti i mali: calo demografico, disponibilità di forza lavoro, sviluppo e addirittura conti del sistema pensionistico. Non si ammette che senza integrazione l’immigrazione massiccia è un problema e non una risorsa. Nessuna vera integrazione però può funzionare su grandi numeri di immigrati concentrati in poco tempo. L’integrazione è cultura e gli esempi di integrazione fallita sono tanti. Lo dimostrano le banlieues francesi e i quartieri enclave in Belgio e Germania nei quali l’islamismo prevale col suo corredo di idee retrograde e incivili. Infine l’immigrazione può anche avere un effetto negativo sullo sviluppo se privilegia i lavori meno qualificati e deprime i salari favorendo lo sfruttamento e se questo porta all’emigrazione di tanti giovani italiani qualificati che vanno dove i guadagni sono superiori e così le possibilità di veder riconosciuti i loro meriti.

Questi sono i temi veri su cui i governi dovrebbero misurare le loro politiche e che dovrebbero essere spiegati alle opinioni pubbliche.

Claudio Lombardi

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