L’eutanasia attiva e passiva e la legge che manca
‘A morte ‘o ssaje ched”e?…è una livella”, ci ricordava Antonio De Curtis; la stessa metafora della livella però non può essere utilizzata per affrontare la malattia, la lunga sofferenza, l’imprevisto. Qui ci scopriamo diversi, entrano in gioco storie personali, categorie di bioetica e di morale dalle molteplici sfumature e punti di vista che impongono al legislatore progressivi interventi per regolamentare ciò che la società nel tempo richiede; perché i temi di natura etica e filosofica sono anche temi di natura giuridica.
E’ la genesi della norma che, in un ordinamento democratico, cambia e può “morire” anche per effetto di uno strumento come il referendum. Sarebbero state sufficienti 500 mila firme ne sono state raccolte oltre un milione (1.239.423 di cui 400mila on line). Una proposta di legge del 2013 (legge di iniziativa popolare depositata e mai discussa) e due importanti interventi della Corte Costituzionale, non hanno ancora portato il Parlamento a discutere su un tema così importante che evidentemente ha bisogno di tempi maturi e di tanto confronto.
In tale contesto è nata l’iniziativa della raccolta firme per il referendum abrogativo come previsto dall’art 75 della Costituzione; il successivo passaggio sarà la valutazione da parte della Corte Costituzione circa l’ammissibilità del quesito referendario.
L’articolo che si vuole parzialmente abrogare è il 579 del codice penale e riguarda il reato dell’omicidio del consenziente che rimarrebbe tale laddove fosse commesso nei confronti di minori, degli infermi di mente, di persone il cui consenso venisse estorto con la violenza o con l’inganno; al di fuori di questi casi, si potrebbero valutare, a seguito di un intervento legislativo, le ipotesi e le condizioni per l’introduzione di fatto dell’eutanasia attiva.
L’articolo 579 c.p. quindi attualmente vieta trattamenti sanitari o diretta, nel caso in cui sia il medico a somministrare il farmaco eutanasico alla persona che ne faccia richiesta.
Per quanto riguarda invece la forma così detta omissiva, cioè l’astensione dall’intervento che consente di tenere in vita il paziente gravemente sofferente, l’eutanasia (passiva) è già considerata penalmente lecita quando l’interruzione delle cure ha come scopo di evitare l’“accanimento terapeutico”.
La legge del 2 dicembre 2017, n. 219 (legge sul testamento biologico) infatti, nel rispetto dei principi di cui agli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione e degli articoli 1, 2 e 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, ribadisce il principio per cui nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge. Aspetto cruciale è l’introduzione della disciplina delle DAT, “disposizioni anticipate di trattamento” con le quali le persone possono dare indicazioni sui trattamenti sanitari da ricevere o da rifiutare nei casi in cui si trovassero in condizioni di incapacità. Anche la nutrizione e la idratazione artificiale possano essere rifiutate in quanto (art. 1, comma 5) sono considerate una modalità di somministrazione, su prescrizione medica, di nutrienti mediante dispositivi medici e pertanto in quanto tali “trattamenti sanitari”.
In previsione della eventuale futura incapacità di autodeterminarsi è possibile dunque esprimere le proprie volontà in merito alla accettazione o al rifiuto di determinati accertamenti diagnostici, scelte terapeutiche o singoli trattamenti sanitari. Le disposizioni anticipate di trattamento (DAT) quindi possono essere espresse da ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere mediante scrittura privata autenticata dal notaio, scrittura privata semplice consegnata personalmente all’Ufficio dello Stato Civile del Comune di residenza del disponente. Le DAT possono essere revocate o modificate in qualsiasi momento nelle medesime forme e modalità o, quando motivi di urgenza o altra impossibilità non consentano di rispettare la stessa forma simmetrica, mediante dichiarazione verbale o videoregistrazione raccolta da un medico alla presenza di due testimoni.
La legge stabilisce che siano acquisite dall’interessato, preventivamente, adeguate informazioni mediche sulle conseguenze delle proprie scelte.
In base alla legge sulle disposizioni anticipate di trattamento il paziente, in determinate condizioni, può decidere quindi di “lasciarsi morire” chiedendo l’interruzione dei trattamenti di sostegno vitale e la sottoposizione a sedazione profonda che lo pone in stato di incoscienza fino al momento della morte. Decisione che il medico è tenuto a rispettare.
La legge, invece, non consente al medico di mettere a disposizione del paziente trattamenti diretti a determinare la morte (eutanasia attiva). Ciò finisce però, secondo la Corte Costituzionale (ordinanza n. 207/2018) per “limitare irragionevolmente la libertà di autodeterminazione del malato nella scelta dei trattamenti, compresi quelli finalizzati a liberarlo dalle sofferenze, garantita dagli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione”.
Questa violazione costituzionale continua la Corte “non potrebbe essere, tuttavia, rimossa con la semplice esclusione della punibilità delle condotte di aiuto al suicidio delle persone che si trovano nelle condizioni indicate. In assenza di una disciplina legale della prestazione dell’aiuto, si creerebbe, infatti, una situazione densa di pericoli di abusi nei confronti delle persone vulnerabili”.
E siamo fermi qui. La legge non c’è e le situazioni che ogni giorno potenzialmente si muovono sul crinale del lecito e dell’illecito penale, con una portata di sofferenza indicibile per i malati e per le loro famiglie ma certamente anche per i medici, sono innumerevoli.
Alla legge sul testamento biologico si è arrivati come tutti ricordiamo anche a seguito delle tragiche vicende della famiglia Englaro . Al tema del suicidio assistito e dell’eutanasia attiva stiamo arrivando passando per la morte del dj Fabo e per la scelta di Marco Cappato (associazione Luca Coscioni) di affrontare un processo penale con relativo rischio di condanna per aver rafforzato il proposito suicidario di A. Fabo ai sensi del 580 c.p.(istigazione o aiuto al suicidio).
Dal processo penale, che ha comportato anche il ricorso alla Corte Costituzionale per giudizio di costituzionalità dell’art 580 c.p., Cappato è uscito indenne perché nel caso specifico la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 242/2019, dichiarava l’illegittimità costituzionale dell’art. 580 c.p. «nella parte in cui non esclude la punibilità di chi, con le modalità previste dagli artt. 1 e 2 della legge 22 dicembre 2017, n. 219 – ovvero, quanto ai fatti anteriori alla pubblicazione alla sentenza con modalità equivalenti – agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente».
L’assoluzione di Cappato quindi è dipesa dal fatto che ricorressero proprio quelle quattro condizioni individuate dalla Corte Costituzionale:
- Capacità di intendere e volere
- Malattia grave e incurabile
- Impossibilità di superamento della malattia mediante trattamenti medici
- Dolori insostenibili
Come riportato dagli atti di causa (Corte Cost.242/2019) “F. A., a seguito di un grave incidente stradale avvenuto il 13 giugno 2014, era rimasto tetraplegico e affetto da cecità bilaterale corticale (dunque, permanente). Non era autonomo nella respirazione (necessitando dell’ausilio, pur non continuativo, di un respiratore e di periodiche asportazioni di muco), nell’alimentazione (venendo nutrito in via intraparietale) e nell’evacuazione. Era percorso, altresì, da ricorrenti spasmi e contrazioni, produttivi di acute sofferenze, che non potevano essere completamente lenite farmacologicamente, se non mediante sedazione profonda. Conservava, però, intatte le facoltà intellettive. All’esito di lunghi e ripetuti ricoveri ospedalieri e di vari tentativi di riabilitazione e di cura (comprensivi anche di un trapianto di cellule staminali effettuato in India nel dicembre 2015), la sua condizione era risultata irreversibile. Aveva perciò maturato, a poco meno di due anni di distanza dall’incidente, la volontà di porre fine alla sua esistenza, comunicandola ai propri cari”.
E’ proprio da questa ultima vicenda dolorosa e complessa che bisogna riprendere le fila per capire l’iniziativa politica della raccolta firme per il referendum.
La Corte Costituzionale ha indicato una strada per le complesse decisioni da assumere in coerenza con lo spirito e l’evoluzione della carta costituzionale e di ciò che oggi intendiamo per diritto alla salute e alla dignità della persona.
Il quesito referendario proposto, nella consapevolezza della complessità etica e giuridica della questione, vuole innanzitutto porre l’urgenza di regole certe per quei casi di possibile eutanasia attiva per i quali l’aiuto a morire riguarda una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale (quali, ad esempio, l’idratazione e l’alimentazione artificiale) e affetta da una patologia irreversibile, fonte di intollerabili sofferenze fisiche o psicologiche, ma che resta pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli.
Si troveranno costituzionalisti pro e contro l’ammissibilità del quesito referendario, pro e contro la “depenalizzazione dell’eutanasia attiva”, pro e contro ogni tipo di intervento diretto ad incidere sul fine vita. E’ comprensibile.
Alcuni temi scomodi, eticamente e politicamente, vanno tuttavia adeguatamente affrontati considerando ogni aspetto. Si aprirà un dibattito serio e coraggioso sul tema, fino ad ora tenuto sottotraccia tra pandemia e green pass? Si spera che se ne parli, e che il dibattito venga promosso e sostenuto nel rispetto della dignità di ciascuno e soprattutto di chi vive il dolore con consapevolezza, mostrando la tremenda dignità nel soffrire e nel morire così come nell’accudire nel silenzio chi soffre.
La richiesta di Mina Welby, ospitata nel 2011 da Civicolab https://www.civicolab.it/legge-sul-testamento-biologico-perche-non-posso-decidere-come-voler-essere-curata-di-mina-welby, è ancora illuminante per tutti coloro che volessero ragionare senza alcun pregiudizio sul tema dell’eutanasia: “Chiedo ai parlamentari di non fare una legge per affermare una visione etica, ma costituzionale, fruibile da tutti coloro che ne sentono il bisogno”.
Liliana Ciccarelli
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