Tutti i limiti del nuovo contratto di rioccupazione
Il Governo ha partorito un nuovo Decreto Legge (sostegni bis) dedicando diversi articoli al lavoro. Fra integrazioni salariali, nuovo blocco dei licenziamenti, commissariamento dell’ANPAL, riduzione dei limiti per il contratto di espansione, blocco della diminuzione della Naspi è spuntato anche il nuovo contratto di rioccupazione.
Nonostante sia stato presentato sui media come un ottimo contratto con una forte agevolazione contributiva, in realtà appare piuttosto …… inutile!
Intanto è presentato come una misura eccezionale e pertanto la sua esistenza sarà brevissima: appena 5 mesi. Si potrà, infatti, utilizzare fino al 31 ottobre 2021. Una brevità davvero singolare, considerando i lunghi tempi necessari per renderlo fruibile. Perché un tempo così breve?
In ogni caso il contratto presenta una dose non indifferente di incongruenze e contraddizioni che vanno messe in evidenza.
Le disposizioni fissate nell’art.41 del Decreto Legge, infatti, impongono le seguenti condizioni:
- il contratto deve avere un piano individuale formativo di inserimento;
- la durata del piano è fissata in almeno 6 mesi;
- la platea dei lavoratori cui può rivolgersi è solo quella dei disoccupati.
Questo contratto consentirà ai datori di lavoro di ottenere un’agevolazione contributiva fino ad un massimo di 3000 euro nei 6 mesi. In caso di continuazione dopo questo periodo il datore potrà ottenere, se ne ha diritto, le altre agevolazioni, sperando che siano sbloccate concretamente (under 36, donne ecc.).
E’ previsto comunque che alla fine dei 6 mesi le parti possano recedere dal contratto con preavviso oppure proseguire il rapporto e, in caso di cessazione, il datore sarà tenuto a restituire all’INPS le agevolazioni usufruite. Insomma le agevolazioni sono condizionate al mantenimento in servizio del lavoratore, visto che il contratto parte già come un contratto a tempo indeterminato.
La difficoltà attuativa del contratto appare evidente: assumere un soggetto con il quale è necessario impostare un piano individuale formativo di cui al momento non si conoscono nemmeno i contorni è di per sé un rischio. Infatti, il progetto, che deve avere il consenso del lavoratore, dovrebbe in qualche modo essere utilizzato per settori e mansioni diverse da quelle già eseguite, e dunque le aziende dovrebbero prendere un lavoratore disoccupato che apparteneva ad un altro settore e dargli una formazione e riqualificazione per 6 mesi e al termine decidere se è valido e riqualificato e quindi proseguire con il contratto oppure no.
Per esempio, un cameriere disoccupato dovrà essere assunto in un settore che non sia la ristorazione. Si tratta, quindi, di un contratto per quelli che devono essere riqualificati in altri settori. Qui sorgono alcune domande. Perché un’azienda dovrebbe andare a formare una specifica figura professionale e non provare a cercarla già formata? Perché dovrebbe correre il rischio che tale formazione non porti ad un buon risultato? Quali vincoli dovrà avere il piano formativo? E poi, se il piano non è considerato valido a posteriori in sede ispettiva cosa succede? Oltre a restituire l’agevolazione sarà considerato il recesso un licenziamento ingiustificato?
Insomma molti interrogativi che possono frenare le assunzioni. È probabile che in un panorama così contorto, con l’assenza totale della mediazione dei Centri per l’Impiego, con le difficoltà economiche del momento, le aziende stentino ad aderire a questo nuovo contratto.
Si è già detto che possono essere assunti solo i disoccupati; sono esclusi, quindi, i lavoratori in Cassa integrazione. Inoltre l’azienda non deve aver attuato in precedenza licenziamenti per giustificato motivo oggettivo né deve farli durante il periodo di formazione. Poiché dal 1° luglio cessa il blocco dei licenziamenti si tratta di una condizione che restringe ulteriormente la platea interessata.
E’ bene, comunque, ricordare che le agevolazioni contributive per le aziende per le assunzioni degli under 36 e delle donne come previste nella Legge di Bilancio di fatto sono ancora al palo vista la mancanza di autorizzazione della commissione Europea, costringendo molte aziende ad attendere il recupero delle agevolazioni che intanto non sono attive: insomma c’era davvero bisogno di mettere una nuova agevolazione non immediatamente applicabile?
Alessandro Latini
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