E l’Europa che fa? Intervista a Paolo Acunzo

Paolo Acunzo è vice presidente del MFE (Movimento Federalista Europeo).

La prima domanda parte da una considerazione: di fronte all’emergenza coronavirus una larga parte dell’opinione pubblica si domanda cosa stia facendo l’Europa. Già il fatto di porsi questa domanda è una dimostrazione che l’Europa è percepita come una presenza necessaria e anche in qualche modo autorevole dalla quale ci si aspetta qualcosa in un momento di grave difficoltà. Non si sa, però, cosa esattamente debba fare. E allora cominciano col chiarire questo: rispetto all’emergenza coronavirus cosa possono fare le istituzioni dell’Unione Europea?

“E’ paradossale che si chieda dell’Europa quando l’Europa non ci può essere, ma ciò significa pur sempre che si avverte l’esigenza di una sua più forte presenza. Se stiamo alla lettera del Trattato di Lisbona la sanità è una competenza esclusiva degli stati membri. C’è però un articolo – il n. 168 – che prevede un intervento dell’Unione Europea in caso di epidemie transfrontaliere ovvero che valicano i confini nazionali. In questi casi può intervenire, ma coordinandosi con le decisioni dei governi nazionali per supportarle. Ciò significa che prima si devono mettere d’accordo gli stati interessati e solo allora interviene la UE. Ciò ovviamente non semplifica, ma complica le cose. Questo è un problema fondamentale della stessa strutturazione dell’Unione Europea. Forse non è abbastanza evidente che l’Europa cioè la Ue agisce sulla base di accordi tra tutti gli stati aderenti e nei limiti che questi le hanno assegnato.

Dunque oggi sicuramente l’Unione Europea fa poco per l’emergenza coronavirus”.

La seconda domanda riguarda il tema del deficit e dei parametri di bilancio. In questi giorni si è reso evidente che l’Italia non può farcela con i precedenti accordi su debito e deficit. Bisogna spendere molto per gestire l’emergenza, per sostenere famiglie e imprese e per mettere le basi di una ripresa dell’economia. La questione, però, non è quanto l’Europa debba spendere, ma quanto maggior debito l’Italia possa fare. C’è invece qualcuno – Cottarelli per esempio – che coglie questa occasione per riproporre un’idea non nuova (il primo fu Romano Prodi con Alberto Quadrio Curzio nel 2011), ma che non è mai stata presa in considerazione: quella degli eurobond.  Non sarebbe questa la strada migliore e quella più qualificante per cominciare ad affrontare i problemi comuni a più stati?

“Quella degli eurobond è sicuramente una strada percorribile, ma non è facile come appare. Molto probabilmente dovrebbe essere coinvolta la Banca Centrale Europea e ciò potrà avvenire solo in base ad un accordo tra gli stati. E, di nuovo, si torna alla rigidità dei trattati. Lo sforamento del deficit di cui si parla, invece, è già previsto nel patto di stabilità ed è più rapido. In realtà, se ci fosse un accordo degli stati nazionali che decidessero di derogare insieme al parametro del deficit non servirebbero neanche più gli eurobond.

La questione rimane sempre la stessa. Fino a quando si dovrà aspettare la decisione concorde degli stati non ci potrà essere né tempestività né flessibilità. Solo se ci fosse un organismo superiore ai singoli stati investito di un potere politico reale le decisioni europee potrebbero essere più rapide ed efficaci.

Nell’emergenza coronavirus se il problema toccherà – come in effetti sta già avvenendo – diversi stati e ne verrà percepita la gravità immagino si renderà evidente l’interesse comune ad agire insieme anche destinandovi specifiche risorse che oggi, però, non ci sono nel bilancio. Io mi auguro sinceramente che prima o poi ci si renda conto della necessità di un potere comune in grado di affrontare questo tipo di situazioni”.

Terza e ultima domanda. In Europa con l’insediamento della nuova Commissione era già stata annunciata una conferenza per studiare nuovi assetti istituzionali e nuove politiche comuni. La conferenza dovrebbe svolgersi a maggio, ma ne sappiamo poco. Potresti dirci qualcosa di più sui tempi e sui temi in discussione?

La conferenza sul futuro dell’Europa è un elemento qualificante del programma della nuova Commissione Europea e del suo presidente Ursula von der Leyen. È proprio su questa idea che si è basato il consenso delle forze politiche che li hanno votati nello scorso luglio. In questa fase si sta elaborando un accordo tra Consiglio, Commissione e Parlamento europei per dare un mandato preciso a questa conferenza. Si è già deciso che la conferenza verrà aperta il 9 maggio in occasione dei 70 anni della dichiarazione Schuman e della festa per l’Europa. In questa occasione con l’apertura della conferenza si potrà finalmente avere la sede dove confrontarsi per proporre riforme delle politiche europee e degli strumenti istituzionali per attuarle. Queste proposte verranno poi esaminate dai singoli governi e poi discusse in una sede intergovernativa per poi arrivare a cambiare i trattati. Perché è questa la posta in gioco: cambiare i trattati.

È già previsto che oltre alle istituzioni comunitarie e oltre ai rappresentanti dei governi nazionali e dei parlamenti nazionali vi debba essere una forte presenza di rappresentanti della società civile, dell’associazionismo, dei movimenti e, in generale, dei cittadini europei. Il futuro dell’Europa riguarderà loro innanzitutto. Ad esempio, visto che ci troviamo di fronte al problema coronavirus se ci fosse una volontà e un consenso per dare all’Europa il potere che oggi manca quella sarebbe l’occasione giusta per farlo emergere. Per questo motivo noi del Movimento Federalista Europeo ci stiamo già attrezzando per una manifestazione il 9 maggio in occasione dell’apertura della conferenza. È importante far sentire ai governi da subito la voce dei cittadini europei.

Si parla spesso dell’Europa come se fosse una realtà statica, immutabile, imposta da chissà chi. È invece una creazione delle politiche nazionali e, in quanto tale, è una realtà dinamica. Cambierà se ci sarà una pressione delle opinioni pubbliche nazionali che chiederanno più poteri e più mezzi per attuare le scelte politiche europee. Anche per rispondere all’epidemia in corso il messaggio è uno solo: in Europa una svolta è necessaria e urgente”

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