Stadio della Roma: un film già visto

Un film già visto. Un costruttore, una grande opera privata che senza il consenso dell’amministrazione pubblica non si può fare, un presidente di un’importantissima società di servizi di proprietà comunale messo lì dai suoi protettori politici, altri politici di vario livello presi nella rete di un ricco costruttore. E poi finte consulenze e varie altre mascherature per nascondere finanziamenti e favori. La magistratura intuisce, sospetta e poi agisce. Gli arresti, le intercettazioni sulla stampa eccetera eccetera. Lo scandalo dello stadio della Roma non è che l’ennesimo episodio di una telenovela che dura da decenni.

È clamoroso che l’inchiesta per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione tocchi adesso il M5S. L’avvocato Lanzalone, al quale è stata data in premio, come ha affermato Di Maio, la presidenza dell’Acea come se fosse un feudo di proprietà dei 5 stelle, è uomo di fiducia di Casaleggio e di Grillo. Fu inviato a Roma per tappare la falla creata dal caso Marra (il braccio destro della Sindaca Raggi arrestato e rinviato a giudizio per corruzione). La Sindaca anche adesso prova ad uscirne politicamente indenne come già fece al tempo di Marra. È solo uno dei 23 mila dipendenti del Campidoglio disse del suo braccio destro. Me lo hanno imposto, io manco lo conoscevo dice di Lanzalone. Strana idea della responsabilità politica. Una sindaca che non conta nulla che viene manovrata da un faccendiere o che esegue gli ordini di Grillo e Casaleggio.

Questa vicenda è importante perché rivela la nascita di un sistema di potere a 5 stelle. Camuffata dall’arroganza di una propaganda martellante che ha eretto le bandiere della trasparenza e dell’onestà esiste una realtà opaca dove le decisioni che contano vengono prese da pochissime persone e dove cominciano a girare gli affaristi senza scrupoli, gli arrampicatori, i disonesti di domani. Dopo essere nati e cresciuti al grido di “sono tutti uguali, tutti corrotti e se ne devono andare tutti a casa” i pentastellati, appena conquistato il potere, hanno cominciato ad ammorbidirsi. Le loro regole sono state adeguate e, ciò che prima era motivo di feroci attacchi ai politici, adesso se li riguarda, viene giustificato. A metà strada tra una setta e una società privata pensano di essere dei rivoluzionari che stanno compiendo una missione in nome del popolo e dunque si assolvono da molte responsabilità.

Fermo restando che non si possono pronunciare condanne sulla base di un’inchiesta appena avviata e che la magistratura ci ha abituato a “lanci” di processi mediatici finiti poi nel nulla, lo scandalo dello stadio della Roma nella sua “ordinarietà” dice molto di più. Ci racconta di una politica debole che continua ad essere facile preda di affaristi, di traffichini, di professionisti in caccia di consulenze, di dirigenti di uno dei tanti apparati di cui si compone lo Stato e quel mondo di aziende che dalla politica dipende.

La debolezza di quel poco che è rimasto dei partiti e della politica spiega ciò che può apparire incomprensibile. È chiaro che i politici hanno troppo potere (rappresentato contabilmente dalla spesa pubblica) e non sono in grado di gestirlo. Per dirlo con più chiarezza: sono nelle mani delle burocrazie. E sono facile preda di arrampicatori, consiglieri, facilitatori che offrono i loro servizi consapevoli di quanto il politico al quale si rivolgono sia incompetente e oscillante tra lo smarrimento e l’arroganza. Per questo la questione decisiva nascosta allo sguardo dell’opinione pubblica è quella dei posti da spartirsi. Compito dei politici è quello di dire che a loro non interessa la spartizione dei posti mentre i loro fiduciari nell’ombra solo di questo si occupano. Basta guardare al caso Lanzalone. Passare dall’essere uno dei tanti avvocati in cerca di clienti alla presidenza di Acea significa essere proiettati nel mondo di quelli che contano, accaparrarsi retribuzioni al top e conquistare il potere di influenzare o decidere l’attribuzione di incarichi di responsabilità, di posti di lavoro ed anche di orientare le decisioni politiche e amministrative dalle quali possono dipendere le fortune di gente come il costruttore Parnasi.

Questa è la faccia nascosta del potere. E se ai politici è demandata solo la conquista dei voti si capisce che la politica può diventare puro marketing per creare e piazzare i prodotti che più facilmente possono essere venduti sul mercato del consenso. Se la parola stessa partito è stata ricoperta di infamia ed è stata sostituita da movimenti carismatici o da comitati elettorali non sorprende che il potere divenga un terreno di caccia. D’altra parte l’opinione pubblica è manovrabile. Con una campagna pubblicitaria può credere a tutto. Quale era lo slogan della Raggi in campagna elettorale? “Cambieremo tutto”. Una persona ragionevole non lo avrebbe detto perché era fuori dalla realtà, ma lei vinse. E il M5S non ha forse fatto eleggere a cariche istituzionali persone prive di alcuna competenza politica facendo credere che proprio l’incompetenza fosse un requisito fondamentale per accedervi? E chi dirige dietro le quinte sia questi che la cosiddetta democrazia diretta attraverso internet? Niente altro che quel centro di comando opaco che ha inviato a Roma l’avvocato Lanzalone dandogli in premio la presidenza di Acea.

Questo il M5S che rappresenta la punta più avanzata del cambiamento in peggio che sta sconvolgendo la nostra democrazia. Dunque che si può fare? Creare una politica che educhi il cittadino alla partecipazione, potenziare l’informazione e la formazione perché l’ignoranza è il brodo di cultura della separazione tra potere e consenso e l’incubatore dei fanatismi e dei regimi autoritari, abituare le persone ad essere protagonisti in grado di conoscere, valutare, giudicare. E costruire dei partiti che non siano solo delle macchine di potere o dei comitati elettorali. Sì ci vogliono i partiti. Organizzazioni di massa, articolate, diffuse, adatte a questi tempi nuovi nelle quali ognuno possa diventare un promotore di politica. Non i leader: i partiti

Claudio Lombardi

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