A cosa serve un partito secondo Fabrizio Barca (di Andrea Declich)
Della memoria di Barca intitolata “Un partito nuovo per un buon governo” si possono dire molte cose. Tra le tante, quella sicuramente sbagliata è che il testo non è innovativo. Si può essere o meno d’accordo con Barca, infatti, ma la sua è stata la più importante riflessione sul ruolo dei partiti – specie se di sinistra – che si è sentita negli ultimi tempi. Ovviamente, se non si considerano tutte le riflessioni e gli studi sul passato – a cui pure Barca fa riferimento -, oppure le discussioni e gli interventi non sistematici che non sono mai mancati sui giornali. Non che non ci siano stati interventi anche molto interessanti sull’argomento. Un’eccezione è il bel saggio di Tocci “Sinistra senza popolo”. Ma in genere, queste riflessioni nella pratica politica della sinistra non hanno cambiato gran ché le cose. Nel complesso, nonostante il confronto politico anche aspro, dalle primarie alle ultime elezioni, la discussione su come organizzare un partito di sinistra (o di centrosinistra, poco cambia), è stata piuttosto povera, con pochi effetti pratici, al punto che ancora oggi non si sa esattamente per quale motivo il PD si chiami “Democratico”.
Il testo di Barca è interessante perché dice chiaramente a che cosa serve il partito: a promuovere la mobilitazione cognitiva, termine con il quale si intende il fatto che le proposte di soluzioni ai problemi della vita pubblica vengono individuate, non solo scoperte ma anche inventate, a partire dal confronto dei diversi saperi di cui sono portatori i diversi soggetti attivi nella scena politica ed interessati ai suoi sviluppi.
Il tutto parte dall’assunto, tanto incontrovertibile quanto misconosciuto, che il governo della realtà (al livello locale, nazionale, ecc.) impone una dialettica continua tra governanti e governati, una messa in opera di soluzioni, uno sperimentalismo democratico che deve essere implementato continuamente. Non si può certo pensare che basti la discussione sul programma durante le elezioni e poi lasciare indisturbato il manovratore. Non basta, almeno, se si vuole pensare alle grandi riforme di cui avrebbe bisogno il nostro paese, siano esse una riforma seria della pubblica amministrazione, o la difesa dei beni culturali, oppure, per parlare di questioni che riguardano il territorio, dell’efficientamento dei trasporti locali o la lotta contro il consumo di suolo. Il mondo è più complicato, la lista dei problemi e delle grane da risolvere non si compila in occasione delle campagne elettorali.
Le politiche promesse richiedono tempi lunghi per la loro applicazione, aggiustamenti, ripensamenti, conflitti. Non si può pensare a super-uomini in grado di affrontare tutto questo, per quanto battezzati dal voto popolare espresso durante le primarie e le secondarie. La memoria di Barca ha, quindi, questo merito: spiega quale debba essere il ruolo di un partito di sinistra nel contesto delle necessarie – e anch’esse spiegate – riforme dell’azione pubblica (quello che viene chiamato lo “sperimentalismo democratico”). Nonostante lo stile del testo sia quello del saggio teorico, da esso si evince anche perché un cittadino qualsiasi, di sinistra, possa sentirsi attratto dalla partecipazione a un’associazione partitica che abbia queste caratteristiche.
Nonostante questi meriti – ovviamente si rinvia alla lettura del testo – i problemi aperti dalla memoria di Barca sono tanti. Chi scrive, per esempio, nota il fatto che centrare l’identità del partito sulla mobilitazione cognitiva, per quanto giusta e affascinante questa scelta possa apparire, non spiega come poi gli stessi militanti cognitivi si possano mobilitare per la propaganda – attività tipica di un partito -. Le due azioni sono diverse, a tratti possono anche risultare in contraddizione. E’ questo a cui sembra, peraltro, far cenno Tocci nel saggio menzionato sopra, quando ricorda che “un partito è sempre in una lotta per il potere animata da forti passioni collettive e questa dimensione non va nascosta”. Tocci, inoltre, ricorda che il passaggio dallo stato attuale in cui versa il partito allo stato auspicato implica una discontinuità che non è chiaro come possa essere risolta.
Ma il punto veramente interessante, ben argomentato da Barca, è che un partito è una cosa seria: serve a strutturare un’azione complessa che coinvolge migliaia di persone e per farlo c’è bisogno, evidentemente, di strutture. Tutto ciò non ha niente a che vedere con la vecchia forma partito, tantomeno con il ritorno, temuto da alcuni, alla particolare forma togliattiana del partito (basterebbe, peraltro, guardare i riferimenti teorici citati nel testo). Niente di tutto questo. I suggerimenti di Barca, in realtà, fanno pensare a qualche cosa di profondamente diverso sia dalle vecchie pratiche identitarie che animavano la militanza comunista (già in declino da prima del ‘92), sia da quelle forme di partecipazione federata che consentivano il passaggio dall’associazionismo cattolico alla militanza democristiana. La proposta di Barca è semplicemente onesta, e si basa sul riconoscimento che la partecipazione richiede un organismo capace di facilitarla.
L’esempio di quanto l’una cosa dipenda dall’altra è dimostrato dalle vicende del M5S: un’organizzazione leggera, senza un’anima ideale e una leadership diffusa degna di questo nome che non riesce a far altro che vedere nell’attività del Parlamento una sorta di chat non virtuale, una specie di Blog in carne ed ossa. Sancendo definitivamente, in questa maniera, il degrado della politica. Barca, insomma, fa giustizia di tante speculazioni fatte sulla contrapposizione – nella realtà dei fatti del tutto ipotetica – tra partito pesante e partito leggero. I partiti vincenti sono stati, fin qui, solo quelli pesanti, con diverse forme di radicamento nella realtà. La stessa vittoria fulminea di Berlusconi nel ’94 fu resa possibile dall’uso delle strutture aziendali. In realtà, un partito che mobilita le conoscenze e le coscienze – di una parte e non di tutti –non può essere inteso come il partito-fede che decide per tutti, come quello paventato in un post di questo blog la scorsa settimana. Piuttosto, dopo anni di sconfitte della sinistra e di partiti voluti deboli, o indeboliti dalla loro scarsa autorevolezza – sarebbe bene interrogarsi, come fattivamente sta facendo Barca – su che cosa significhi parlare di partito forte. E verificarne la praticabilità. Senza inventare steccati antropologici.
Andrea Declich da www.gazebos.it
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