Berlusconi e Putin: l’affare del gas
Quando si leggono le dichiarazioni di Berlusconi folgorato dalla spiegazione delle ragioni russe che hanno determinato l’invasione dell’Ucraina, è necessario conoscere i suoi trascorsi e il suo modo di intendere politica e affari. Un uomo disposto a tutto per incrementare il suo patrimonio e il suo potere.
Nell’ormai lontano 2008, al culmine dell’epopea Berlusconiana, Roman Kupchinsky di Eurasia Daily Monitor fece scoppiare un caso che costò caro al Cavaliere.
Una società viennese, Central Energy Italian Gas Holding (Ceigh) – parte di un gruppo più grande, Centrex Group – doveva avere un ruolo cardine in un lucrativo accordo Russia-Italia: una fetta cospicua del gas proveniente da NorthStream veniva venduto direttamente a una società mista con capitale italiano, quest’ultima avrebbe realizzato lauti profitti rivendendo il gas all’ENI che lo distribuiva sul territorio nazionale.
Si trattava quindi di subentrare all’ Eni nella negoziazione di 2 miliardi di metri cubi di gas, circa il 10% di quanto acquistato dalla russa Gazprom e rivenduto all’ ingrosso italiano.
I margini di questa nuova “creatura” priva di qualunque valore aggiunto, nata di fronte al notaio Genghini che già curava parte dell ‘impero berlusconiano, cubavano 50-60 milioni di euro l’anno di utile netto.
Moltiplicato per ventidue anni (il contratto era a lungo termine) si arrivava a 1.3 Miliardi. Il tutto investendo pochissimo denaro. Il capitale (interamente versato) della società situata in via Larga a Milano, era di 120.000 euro…Il business del secolo!
Tanto gli utili erano finanziati dall’ utente finale. E quello del gas è un business regolamentato, con incassi garantiti.
Venne costituita così la Central Energy Italian Gas Holding una Spa controllata al 41,6 per cento da Centrex e da Gas AG, al 25 per cento da Zmb (la sussidiaria tedesca di Gazprom Export), e al 33 per cento da due società milanesi, Hexagon Prima e Hexagon Seconda, registrate allo stesso indirizzo di Milano, e intestate a Bruno Mentasti, l’ex patron di San Pellegrino.
Central Energy Italia subentrava a Eni, titolare fino ad allora dei contratti di per quasi 30 miliardi di metri cubi di gas russi.
Ma che c’entra con il business del gas un imprenditore come il commendator Bruno Mentasti, erede della dinastia San Pellegrino ? Semplice… È un consolidato amico di famiglia di Silvio Berlusconi.
Ecco la storia.
L’ 11 maggio 2007, nell’ ambito della riscrittura dei contratti di lungo termine con Gazprom, l’ Eni “rinuncia” inspiegabilmente all’ acquisto di 2 miliardi di metri cubi di merce.
Un’ enorme ‘nuvola’ rimasta in mano ai moscoviti, che senza bandire nessuna gara la cedono a una società del tutto nuova ed estranea al business oil & gas. Si tratta della Cei spa; guidata da Mentasti, l’ imprenditore bergamasco, che cercava una diversificazione del patrimonio personale, dopo l’affare miliardario concluso con la Nestlè.
Avevano anche già trovato il CEO, John Skinner, oil man scozzese 55enne, scelto da Centrex (Gazprom) per guidare le attività italiane. Mentasti, invece, non avrebbe avuto ruoli operativi, solo una partecipazione agli utili… E che utili!
Mentasti socio al 33% della holding viennese, un nucleo di soci privati presenti in Idf (un fondo di investimento del Liechtenstein) e altre matrioske facenti capo alla stessa Gazprom, avrebbero dovuto iniziare le attività nell’autunno 2008 e già a Gennaio era tutto pronto.
Manager assunti, sedi trovate, capitale versato. Un exploit, per Mentasti, un imprenditore che doveva riuscire dove altri del calibro di Marcello Dell’ Utri e Ubaldo Livolsi avevano fallito.
Tutti e tre, non è un caso, con in comune un legame fiduciario con Berlusconi.
Mentasti, che di Berlusconi fu socio nell’ avventura Telepiù, stava per fare il gran colpo. Ma occorre riavvolgere il nastro, per capire meglio come un monopolista russo e uno italiano acconsentano a lasciare 433 milioni di profitti a un ricco signore bergamasco e ai suoi amici.
Torniamo al 9maggio 2005, quando si chiude il primo capitolo della vicenda, ed è un epilogo da spy story.
Sulla Piazza Rossa, si sta dispiegando la parata militare del 60° dopo la guerra: Berlusconi, presenzia in tribuna autorità e definisce l’ affare con Putin. Telefona il giorno dopo a Mincato (AD di Eni) per l’ esecuzione. L’ indomani il manager veneto – che da un anno resisteva alle pressioni del premier sulla vicenda – vola a Vienna e vede il colonnello Alexander Medvedev (al vertice dell’ Fsb, l’ ex Kgb) che tratta quale direttore generale di Gazexport, che redige i contratti esteri di Gazprom.
Mincato si è portato il direttore generale Luciano Sgubini. È quest’ultimo a siglare la bozza di contratto, anche se dai tempi di Enrico Mattei tutti sanno che per l’ Eni un contratto è valido solo se firmato per esteso, non basta apporre le sigle su ogni foglio.
E la firma, Mincato, non la mette, anche perché il 12 maggio, Gianni Letta comunicava al Tesoro la decisione di estromettere il manager riottoso con mezzo secolo di anzianità.
Quel Mincato testone e non collaborativo non ne voleva sapere di aumentare le quote di gas russo, pretendeva invece di diversificare con i rigassificatori in grado di essere alimentati dal materiale proveniente da una molteplicità di altri produttori. Già nel 2005 Mincato aveva definito la scelta di aumentare fino al 50% l’acquisto di gas russo una “Follia”.
La bozza del contratto del secolo, esaminata da Letta il giorno prima, la firmerà Paolo Scaroni, alla sua prima riunione a capo del cda Eni. Nel consiglio e nelle prime linee manageriali si mastica amaro. In pochi vedono qualche vantaggio a tralasciare profitti certi, in cambio di un prolungamento a prezzi bloccati della fornitura di gas dal 2017 al 2027.
Una specie di sconto, che però inizia solo dopo un decennio. Si è mai visto rinunciare a denaro sonante per pagarne meno nel medio termine?
Inspiegabile poi l’interesse di Gazprom a coinvolgere soci privati italiani. Anche perché il colosso russo da una dozzina d’ anni vende gas nel Belpaese, tramite Promgas, società al 50% con Eni.
«Ma quello è un affare tra monopolisti, ora si vende al mercato aperto», dicono fonti vicine ai russi, sostenendo con ciò che i soci italiani apporteranno esperienze e contatti preziosi. Tale spiegazione acuisce i malumori, di chi sospetta un interesse diretto di Berlusconi nell’ affare.
L’inchiesta di Kupchinsky trasformò la cosa in divenire in uno scandalo internazionale. Il clamore suscitato dalla sua inchiesta documentata congelò tutte le operazioni. L’accordo con Centrex cancellato.
Le società costituitesi divennero scatole vuote destinate ad essere chiuse due anni dopo.
Ma non si esclude che altri affari possano essere stati sottoscritti. L’ambasciatore georgiano a Roma rivelò di essere a conoscenza di contatti ulteriori per un giacimento di gas kazako.
Post di Giulio Galetti tratto da Facebook
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