Bloccare l’Iran, aiutare Israele
Con l’uccisione del capo di Hamas a Teheran la guerra in Medio Oriente in corso da molti decenni compie fa un altro passo verso un conflitto generale. Non serve a nulla, però, commentare le singole azioni senza inserirle negli schemi che i singoli protagonisti hanno scelto di attuare. La Turchia è l’ultimo arrivato, non è ancora un protagonista, ma Erdogan ha già dichiarato a cosa punta: mettersi alla guida di una punizione di Israele. L’Iran fin dalla rivoluzione del 1979 ha dichiarato il suo disegno diventando il più importante fattore di destabilizzazione con confini che vanno dallo Yemen al mar Mediterraneo. L’Arabia Saudita che era uno dei paesi più ostili ad Israele fin dal 1948 sotto la guida di Mohammed bin Salman ha cambiato strada, si spera irreversibilmente, scegliendo la cooperazione e uno via di sviluppo dell’intera area medio orientale e arabica che va molto oltre il petrolio e si pone come uno dei principali canali dei rapporti non solo commerciali tra Asia ed Europa. Un progetto grandioso – la via del cotone – che ha bisogno di pace e della tecnologia israeliana.
Se non si tiene conto di questo scenario il conflitto in corso si riduce, come avviene sui media occidentali e ancor più nelle opinioni pubbliche, ad uno scontro tra buoni e cattivi nel quale Israele recita la parte della spietata entità esterna a quei territori imposta alle pacifiche popolazioni locali dall’imperialismo americano. Una narrazione che dura da tanto tempo e si accompagna ad uno stato di guerra permanente nella quale una parte – gli arabi – non accetta per principio l’esistenza di uno stato degli ebrei.
Ormai la storia dovrebbe aver chiarito chi vuole la guerra, chi vuole che gli arabi di Palestina vivano in uno stato di perenne sottosviluppo in modo da poter essere usati come giustificazione di qualunque azione terroristica o di guerra da attori esterni interessati ad assumere il pieno controllo dell’area nord africana e medio orientale. Gli stati arabi hanno scelto la guerra nel 1948 e solo dopo brucianti sconfitte alcuni – Egitto e Giordania – hanno accettato la pace con Israele. Altri si sono aggiunti con gli Accordi di Abramo promossi dagli Usa sotto la presidenza Trump nel 2020.
Questo è lo scenario che l’Iran ha deciso di sconvolgere spingendo Hamas ad attaccare il territorio israeliano il 7 ottobre 2023. Un attacco fortunato grazie alla distrazione israeliana, ma non isolato. Gaza è libera da ogni occupazione fin dal 2005 e Hamas, dopo aver conquistato combattendo con l’ANP il potere nel 2006 l’ha trasformata in una base militare da cui sono sempre partiti attacchi ad Israele. Attacchi che non avevano nessuna spiegazione se non la volontà di mantenere attivo il conflitto. Dal versante opposto altrettanto ha fatto Hezbollah sempre diretto dall’Iran e, da ultimo, si sono aggiunti gli Houthi dallo Yemen.
Se non si tiene presente questo quadro non si capisce la gravità della situazione. Un conflitto generale in Medio Oriente è vicino e in gioco c’è la cancellazione dello stato israeliano e la creazione di una potenza leader del mondo musulmano che assurga al rango di grande potenza mondiale in grado di esercitare un’egemonia a base religiosa su quasi due miliardi di persone. Il rischio viene da qui e vede noi europei come primo obiettivo di una strategia di conquista che si basa sulla diffusione dell’Islam nei paesi europei sostenuta da milioni di immigrati e dalle seconde e terze generazioni in cerca di un’identità forte.
Le cose vanno insieme: sconfitta di Israele, espulsione degli Usa dal Medio Oriente, conquista numerica, sociale e politica dell’Europa. L’Islam è una religione che si basa sull’espansione, sulla lotta contro gli infedeli e sulla conquista e ben si accompagna a strategie di potenze regionali in crescita.
Il dibattito infantile in Occidente che porta ad invocare una generica pace è un fallimento delle élite che non hanno il coraggio di dire la verità. Bisogna sconfiggere i generatori di guerra e i loro schemi strategici.
Ciò che manca da parte israeliana è una strategia che vada oltre la propria difesa. Il problema dei palestinesi non si risolve battendo Hamas sul campo o respingendo Hezbollah. Esiste di per sé. Dopo il 7 ottobre qualcuno disse che Israele doveva porsi l’obiettivo di conquistare i palestinesi proclamando una sua strategia per dar loro un territorio sicuro e stabile nel quale potessero costruire uno stato. Certo pesano i tentativi di pace del passato tutti fatti naufragare da parte araba. Nessuna proposta fu accettata perché avrebbe significato chiudere la pagina della guerra e né le leadership palestinesi né gli stati finanziatori lo volevano. Ciò non toglie che scegliere la strada della colonizzazione della Cisgiordania è un vicolo cieco senza sbocco. Netanyahu va superato perché lui rappresenta il principale ostacolo su questa strada. Un altro è la profonda sfiducia degli israeliani che, comprensibilmente, ritengono uno stato palestinese inserito nel territorio israeliano una sorgente permanente di attacchi e di terrorismo. Sottovalutano però che molti palestinesi vogliono la pace e aspirano al benessere e che ormai hanno capito che le fazioni dominanti e la religione che viene loro imposta non sanno andare oltre il sottosviluppo.
È necessario che Israele proclami la sua strategia oggi prima di impegnarsi in una fase ancora più dura della guerra con l’Iran, che per ora è tenuta a freno perché ancora non è stata costruita quella bomba atomica che gli ayatollah inseguono da molti anni. Ora è più chiaro che gli anni di trattative con gli Usa servivano per prendere tempo ed impedire la distruzione degli impianti nucleari da parte israeliana. L’idealismo obamiano è stato preso in giro come solo la sapienza millenaria degli iraniani poteva fare. Ora, però, è tutto più chiaro e il problema riguarda tutti. Se nessuno si muove per bloccare l’Iran ormai alleato di Russia e Cina, Israele dovrà continuare a difendersi con tutte le sue armi, ma rischiando che la prima bomba atomica fabbricata dagli ayatollah cadrà su Tel Aviv innescando la terza guerra mondiale perché lo schema è sempre quello e nessuna logica dei due stati in Palestina lo cambierà: gli ebrei devono scomparire.
Claudio Lombardi
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