Cittadinanza e interesse nazionale
Un bambino nasce in Italia. Frequenta il nido, poi la scuola materna, poi la scuola elementare, poi la scuola media e, molto probabilmente, anche la scuola superiore. Così arriva ai diciotto anni. Intanto gioca con i suoi coetanei, li frequenta nel quartiere o nel paese, partecipa alle feste di compleanno, si siede sui muretti a far tardi, si fa amici, amiche e magari nasce anche qualche amore. Comunica in italiano che è necessariamente l’unica lingua che utilizza nei rapporti sociali. I genitori possono anche insegnargli la loro lingua di origine, ma la cultura nella quale è immerso è quella italiana.
Non c’è una ragione per considerare straniero chi nasce in Italia e qui cresce. Lo ius sanguinis è una definizione sbagliata e fuorviante. Non c’è nessuna etnia italiana. Non c’è nessun sangue italiano. Ci sono solo cultura, tradizioni, valori, modi di vivere. Chi nasce qui si qualifica italiano vivendo. Chi ci arriva da bambino deve inserirsi in un percorso formativo. Se ad un adulto occorrono dieci anni di residenza legale per avere la cittadinanza per un bambino che segue un ciclo scolastico è ovvio immaginare un tempo più breve. È interesse dell’Italia che chi vive qui stabilmente si formi e sia italiano.
19 agosto 2024
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