Estremismo islamico: prima di tutto una battaglia culturale
La strage di Parigi ci dice molte cose. Il contesto è quello della guerra che alcuni settori dell’estremismo islamico hanno scatenato per la conquista del potere nei paesi arabi. La strategia è la costruzione di una potenza regionale di matrice islamica che unifichi una vasta area del mondo abitata da centinaia di milioni di persone, arretrata nello sviluppo economico, culturale e civile, ma ricca di petrolio, costituita da società nelle quali non si è ancora affermata la separazione tra stato e religione.
L’occidente c’entra nella misura in cui è alleato da decenni con le classi dirigenti degli stati arabi. Stati che non sono mai riusciti a basarsi su sistemi e culture politiche democratici e nei quali l’autoritarismo è stato ed è la forma prevalente di regime politico e l’islamismo è emerso come riferimento culturale unificante anche se frammentato in tanti pezzi in lotta tra loro. Non si sono mai radicate ideologie o culture politiche simili a quelle dell’occidente nemmeno quando hanno marciato sulle spalle di leader-dittatori come Nasser e Gheddafi. L’Islam è sempre rimasto il terreno di scontro principale, la matrice e il collante di ogni opzione politica. Soltanto le forze armate sono riuscite ad affermarsi in alcuni paesi come struttura organizzata del potere statale e lo scontro con l’islamismo radicale è stato violento, sanguinoso e permanente.
L’appello che è partito dall’ISIS nelle settimane passate con l’invito ai musulmani che vivono nei paesi occidentali a compiere atti terroristici indiscriminati mira a provocare una guerra generalizzata contro l’Islam del quale l’ISIS stesso vorrebbe diventare il rappresentante mondiale. È un appello che fa leva sulla presenza nei paesi occidentali di milioni di musulmani provenienti dai paesi arabi o di seconda generazione, ma sensibili al richiamo di un’ideologia che promette riscatto e identità.
Il punto debole dell’occidente nei loro confronti non è nelle condizioni materiali di vita. Su questo piano, soprattutto in alcuni paesi europei e per quelli che hanno un lavoro stabile, non ci può essere confronto con società arretrate, fondamentalmente povere e che ignorano la cultura dei diritti. Istruzione, sanità e assistenza sociale sono l’esempio di condizioni di vita nettamente superiori a quelle dei paesi di provenienza. E questo vale anche per i giovani delle periferie degradate affascinati dal messaggio dell’islamismo radicale, ma completamente ignoranti di cosa spetterebbe loro nel mondo arabo.
Ciò che fa la differenza e che rappresenta il vero punto debole dell’occidente è nella cultura e nella trasmissione di valori. Per troppi anni si è evitato di educare, di propagandare, difendere ed esaltare valori e culture che fanno dell’occidente la parte più avanzata e civile dell’umanità. In nome di un malinteso rispetto della diversità si è evitato di sostenere i valori universali del rispetto dell’individuo, della libertà, della tolleranza, dei diritti sminuendoli agli occhi di chi arrivava qui spinto dal bisogno, ma pieno dei suoi precetti religiosi e chiuso ad ogni confronto.
L’integrazione è stata intesa come accoglienza passiva e proprio in Francia si è giunti persino a discutere della liceità delle mutilazioni genitali femminili in quanto manifestazione di tradizioni culturali diverse dalle nostre. Il principio dovrebbe essere: si accoglie chi ci accoglie e chi rispetta il nostro mondo. E, invece, c’è stata molta arrendevolezza che non ha nemmeno aiutato chi veniva da noi o chi nasceva qui da genitori immigrati a comprendere l’importanza delle basi culturali e dei valori sui quali si fondano le nostre società. La responsabilità è di molti intellettuali che hanno trasposto sulla scena pubbblica i loro dubbi esistenziali pretendendo di farli diventare linea di condotta collettiva e dei politici confusi e avulsi dalla realtà che hanno rinunciato al loro ruolo di guida. Adesso è arrivato il momento di segnare la differenza e di non accettare più atteggiamenti di sfida. Bisogna cominciare un’opera di educazione civica capillare nella scuola e attraverso tutti i media rivolta sia a italiani che a stranieri per dire che abbiamo un’identità, che ce la siamo costruita in secoli di travaglio, che è il punto di più avanzato sviluppo a cui l’umanità sia arrivata e che non siamo disposti a rinunciarci.
Un’opera di questo tipo farebbe un gran bene innanzitutto a noi italiani diventati da troppi anni degli sbandati culturali privi di coscienza nazionale intrisi di culto dell’individualismo e di disprezzo degli interessi generali, smemorati della nostra storia e inconsapevoli della preziosità delle nostre conquiste
Claudio Lombardi
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