Follie italiane: la rinuncia al gas nazionale

Purtroppo è così. Tra le molteplici “follie” italiane c’è, da tempo, la lotta contro i giacimenti nazionali di gas e petrolio. C’è stata e c’è nonostante la crisi del gas, la possibile chiusura delle forniture dalla Russia e l’assenza di alternative reali. Le tanto decantate fonti rinnovabili non solo non sono in grado di sostituire il gas in tempi ragionevoli perché non possono assicurare, allo stato della tecnologia oggi disponibile, la continuità nella produzione di energia elettrica, ma sono anche fortemente osteggiate da interessi locali, sovrintendenze e ambientalisti radicali. Forse gli italiani non si rendono conto che il giochino di moltiplicare e santificare una miriade di micro interessi dando spazio a velleitarie tutele ambientali, paesaggistiche e di tanti altri tipi (c’è anche quella delle tradizioni locali!) può solo portare al tracollo dell’Italia.

Ci rendiamo conto adesso che la dipendenza dal gas russo non si è creata per caso, ma è stata indotta da decisioni politiche e ampiamente foraggiata proprio dalla Russia che è arrivata a sostenere chiunque si opponesse contro tutte le alternative possibili al suo gas. È esemplare al riguardo il caso del finanziamento di Gazprom al WWF in Germania scoperto di recente. In questo scenario si colloca la lotta ai giacimenti nazionali di gas e petrolio che è stato uno dei cavalli di battaglia del M5s, partito impregnato di velleitarismo pasticcione (vedi il caso del TAP), ma anche molto simpatizzante della Russia di Putin. Gli effetti di quelle scelte si proiettano anche sull’oggi.

La sintesi è che, mentre l’Europa cerca freneticamente delle soluzioni per poter rinunciare al gas russo, l’Italia chiude i suoi giacimenti. Proprio così. Le basi sono state gettate già nel 2013 quando si congelò la situazione dei giacimenti italiani vietando la ricerca di nuovi giacimenti. Ma l’effetto del Pitesai (Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee) aggrava la situazione.

In base a questo piano entrato in vigore da poco il Ministero della transizione ecologica ha dovuto rigettare molte richieste di apertura di nuovi giacimenti di gas e di petrolio. Ci aiuta a capire l’impatto del Piano l’Associazione confindustriale delle compagnie minerarie, Assorisorse che ha analizzato giacimento per giacimento le conseguenze del Pitesai.

Un dato su tutti illustra l’ennesima follia italiana. Dei 108 giacimenti di gas oggi attivi soltanto 21 non avranno problemi. Per gli altri aumenteranno le problematiche capaci di bloccare ogni desiderio di investimento. Ma poi ci sono tutti quelli che potrebbero essere scoperti e che non possono esserlo poiché la ricerca è vietata. Chi ha voluto questa follia? La risposta è fin troppo facile dato che risale a pochi anni fa il culmine della lotta contro le estrazioni: il referendum  NO TRIV.

Il principio fondante del Pitesai è che le attività estrattive non devono recare disturbo e possono svolgersi solo nelle aree idonee. Quali? Quelle non industriali, non le aree naturali protette, non devono essere troppo vicine alla costa, non devono essere centri abitati né insistere su terreni con colture di pregio (ulteriore follia: Puglia e Molise hanno deliberato che coltura di pregio sia l’intera superficie regionale). Non ci devono essere riserve naturali esistenti, ma nemmeno aree in cui l’istituzione di una riserva è solamente ipotizzata per il futuro.

Insomma l’attività estrattiva di gas e petrolio viene trattata come se fosse inutile e dannosa. All’Italia il gas e il petrolio estratti qui, evidentemente, non servono. Lo compriamo tutto all’estero e autorevoli esponenti del fronte ambientalista e politici di estrema sinistra e dei 5 stelle hanno detto che è meglio così. Poi è arrivata la guerra e la rottura con Mosca a metterci di fronte alla nostra idiozia.

In un documentato articolo su Il Sole 24 Ore dell’8 aprile Jacopo Giliberto riferisce di alcuni casi che sarebbero divertenti se non suscitassero rabbia. C’è il caso del giacimento Giulia nel mare davanti a Rimini, 500 milioni di metri cubi di metano di prima qualità, pozzi già perforati, piattaforma pronta e completa. Cui manca solamente il tubo per collegare il metanodotto a terra.

C’è anche quello del giacimento Bonaccia al largo di Porto Recanati. Le zampe della piattaforma sono state scelte da colonie di pesci e molluschi come proprio habitat forse perché costituiscono un rifugio dalle reti a strascico. Ebbene adesso il giacimento è considerato un presidio ambientale ed è stato chiesto di istituire in futuro intorno alla piattaforma un’area protetta. Di conseguenza fine delle attività estrattive e mare vietato per una grande estensione intorno alla piattaforma.

Ultimo esempio, un giacimento in mezzo al Canale di Sicilia. Ha ricevuto il no di una Sovrintendenza perché l’attività in mezzo al mare non è allineata con gli usi e costumi della popolazione locale.

Cosa dire di più? Che l’Italia e gli italiani dovrebbero diventare adulti e smettere di vivere in un’eterna sceneggiata adolescenziale dove si chiede al mondo intero di aiutarci  pur di non smuoverci dalle nostre follie

Claudio Lombardi

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