Guardare oltre la pandemia

Per quanto tempo abbiamo sentito dire che un vincolo esterno pesava sulle scelte politiche dei governi italiani? Era vero: i principi della concorrenza, le liberalizzazioni, la regolazione dei mercati con l’introduzione delle Autorità di garanzia (Antitrust, energia, comunicazioni, finanza e infine trasporti) sono tutti riconducibili ad uno stimolo (o vincolo) proveniente dalle istituzioni europee. Con la creazione dell’Unione europea, con il trattato di Maastricht e con l’introduzione della moneta unica il vincolo esterno è diventato molto più evidente e penetrante.

La sfida che l’Italia ha accettato aderendo all’euro avrebbe richiesto riforme radicali dirette a rompere condizionamenti e limiti generati nei precedenti periodi della storia nazionale e risalenti, in alcuni casi, al momento dell’Unità d’Italia (la questione meridionale in primo luogo). A distanza di 24 anni da quella scelta si deve riconoscere che qualche tentativo è stato fatto, ma la sostanza dei problemi è rimasta.

La frattura tra Nord/Centro e Sud innanzitutto. Il peso delle burocrazie. L’inefficienza dell’ordinamento giudiziario e delle pubbliche amministrazioni. L’inadeguatezza delle politiche assistenziali (non per risorse, ma perché male indirizzate). La frammentazione delle strutture produttive con conseguente debolezza della ricerca e dell’innovazione. L’arretratezza del sistema formativo. L’indebolimento della sanità non solo per sottrazione di risorse, ma anche per sprechi e peso delle posizioni di rendita corporative. La confusione istituzionale prodotta da una pessima imitazione del federalismo.

Non sono problemi del passato, sono tutti nodi di stretta attualità che la pandemia ha reso ancora più evidenti. Eppure il loro elenco è sempre stato presente nei programmi dei governi passati. Ma non è servito. Stanno sempre lì come un peso e un freno che nessuno è riuscito a rimuovere.

Dunque nemmeno il vincolo esterno che ci ha tenuti agganciati all’Europa è riuscito a spingere alla soluzione delle questioni strutturali che frenavano lo sviluppo del Paese. Ci sono stati governi che hanno osato di più e altri meno, ma l’elenco è sempre quello: il Sud, le burocrazie, la giustizia ecc ecc.

Le due grandi opzioni politiche che si sono affermate nel corso degli ultimi venti anni sono quella europeista che ha accettato il vincolo esterno come leva per avviare una trasformazione dell’Italia e quella anti europeista che rifiutava il vincolo e voleva una Europa ridotta a mercato comune. Sono due opzioni che hanno polarizzato gli schieramenti politici: un centro sinistra da un lato e un centro destra dall’altro. Dopo le elezioni del 2018 con la vittoria del M5s i due poli si sono alternati al governo: prima con una maggioranza di forze ostili ai vincoli europei che giungeva fino al progetto di uscire dall’euro e di rottura con l’Europa sul modello della Brexit; poi con un’altra di segno opposto (cambiamento annunciato dal voto del M5s, partito di maggioranza relativa, a favore di Ursula Von der Leyen a capo della Commissione europea). La pandemia, con la “rivoluzione” del ruolo della Bce e con il Next Generation Eu, ha consolidato questi equilibri depotenziando il centro destra a trazione sovranista la cui proposta politica si è ridotta ad un continuo tentativo di rovesciamento del governo sfruttando le tensioni, i risentimenti, gli errori ed inseguendo ogni rabbia sociale. L’opposizione ha impresso alla sua azione il segno dell’irresponsabilità senza alcuno scrupolo e senso dello Stato. Conta anche questo in democrazia. Nessun governo può fare tutto da solo.

Le critiche di Italia Viva al governo si possono riassumere in una: aver dimenticato che non può essere la pandemia l’orizzonte di un governo che voglia arrivare al termine della legislatura. Un giusto richiamo sia perché l’emergenza dell’ultimo anno ha messo a nudo i limiti strutturali del “sistema Italia” e sia perché l’Europa ha scommesso sul nostro Paese mettendoci a disposizione le risorse per iniziare a superarli.

L’errore di Italia Viva è stato la fretta nel trarre le conclusioni ultime uscendo dalla maggioranza e indebolendo così la componente riformista che stava già ottenendo dei risultati. Difficile negare che la fretta rivela altri obiettivi che non c’entrano nulla con la critica politica per migliorare l’azione del governo. Quali? La caduta di Conte? Una maggiore visibilità di IV? Probabilmente entrambi. Comunque nè Conte nè gli altri partiti (a cominciare dal Pd che si esprime con modalità sempre sfumate e prudenti) sono stati immobili. Il Recovery plan italiano è cambiato e cambierà ancora.

In Parlamento Conte ha chiesto aiuto un po’ a tutti e, in particolare, ha nominato tre orientamenti politici: gli europeisti, i liberali, i socialisti. Nel panorama politico italiano e nelle Camere ci sono delle sigle che si riconoscono in questi nomi e sono Italia Viva, Azione, +Europa e in parte Forza Italia. Se l’intenzione è quella di stringere un patto di fine legislatura (lo chiede il Pd esplicitamente) è a loro che il governo si deve rivolgere. Magari non subito, magari non come parte della maggioranza, ma sui temi che devono essere affrontati il confronto deve essere chiesto e ricercato. Come non è stato fatto nell’anno passato ad inseguire l’emergenza e con un ruolo esorbitante del Presidente del Consiglio.

Nel suo discorso alla Camera Conte è sembrato presentarsi come il leader di una futura coalizione elettorale tra Pd, M5s e Leu. Può essere funzionale alla sfida che lancerà la destra e che avrà Salvini come suo candidato premier, ma non basta né a vincere né ad arrivare al 2023. Bisogna dar prova di saper guardare oltre la pandemia ed oltre una maggioranza di governo che esce indebolita dalla crisi. Il rischio più grande è che la pandemia divenga il pretesto per non affrontare i nodi strutturali bloccando l’evoluzione politica, istituzionale, economica e sociale dell’Italia. Il rischio è anche e forse soprattutto quello di utilizzare male o perdere le risorse che l’Europa ci vuole mettere a disposizione. E questo sarebbe un danno maggiore della pandemia che si ripercuoterebbe a lungo negli anni a venire.

Claudio Lombardi

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