I nodi irrisolti: il pasticcio del federalismo regionale

pasticcio federalismo italianoSul tappeto da anni la riscrittura del “famoso” Titolo V della Costituzione è uno dei nodi più difficili da affrontare per il nuovo governo. Ci vorrà un bel coraggio per mettere mano ai pasticci che furono compiuti nel passato sull’onda della retorica “federalista”.

Come scrive su Repubblica (Affari e finanza del 17 febbraio) Paolo De Ioanna profondo conoscitore dei meccanismi del bilancio dello Stato “Tutti si affannano a prendere le distanze dal fallimento clamoroso della riforma del titolo V, ma basta analizzare con onestà intellettuale il dibattito dell’epoca per capire a chi dobbiamo quest’ingombrante e inutile esercizio di retorica federalista, in nome di un principio di sussidiarietà che resta uno dei canoni economici e giuridici più vaghi e sfuggenti, dentro cui si può fare tutto e il contrario di tutto”.

Giudizio lapidario per una riforma venduta come svolta epocale, ma che ha portato conseguenze negative in termini di efficienza del sistema politico-istituzionale e di incremento della spesa pubblica.  De Ioanna ricorda che “il nodo non sta tanto in una questione di mancata nitida distribuzione delle competenze normative, legislative e regolamentari tra i diversi livelli autonomistici quanto nell’elusione sostanziale dei problemi fiscali”. In sostanza si sono svincolate le funzioni dalle fonti di finanziamento il che implica una sostanziale irresponsabilità politica di chi governa in sede locale.

conseguenze regionalismoContinua De Ioanna: “Fino alla fine degli anni ’90 il processo di decentramento regionale e locale seguiva una logica di implementazione funzionale di poteri normativi e risorse da trasferire verso la periferia. Con la confusa riforma del titolo V si consolida in Italia un inedito federalismo sanitario: l’80% della spesa regionale è destinato alla gestione della sanità e deve garantire un livello essenziale di cittadinanza, cruciale per la tenuta democratica della Repubblica, intestato qualitativamente alla competenza esclusiva dello Stato ma finanziato con un mix opaco di compartecipazioni ai tributi statali, fondo perequativo e tributi regionali”.

Le conseguenze le vediamo con cinque regioni in commissariamento permanente e un “turismo” sanitario che porta continuamente pazienti dalle regioni meno efficienti (di solito quelle del sud) a quelle più efficienti (centro nord) chiaro segnale di una spesa che non produce più salute, ma si rivela inutile allo scopo.

disegno nazionaleGiustamente osserva De Ioanna “Come spesso avviene in Italia chiamiamo con nomi impropri (federalismo) per ragioni di propaganda politica cose che hanno una sostanza diversa; nessun cittadino pensa e sente di vivere in un sistema federale perché ci sono organizzazioni sanitarie apparentemente diverse sul territorio ……..La classe politica locale espressa da questo processo “federale” è la peggiore del dopoguerra

E questo in un’epoca in cui “la crisi della nostra produttività multifattoriale risiede in larga misura proprio nella debolezza strutturale delle politiche sul territorio: trasporti, ricerca, innovazione, infrastrutture leggere e pesanti, ambiente”. Non dobbiamo dimenticare che “il nostro gap sta nel sovrappiù di confusione normativa e amministrativa che abbiamo iniettato nel sistema con la cosiddetta riforma federale senza basi fiscali”. Rinchiudersi in una divisione artificiosamente definita “federale” esaltando i particolarismi regionali non ha senso quando ciò cui non si può rinunciare è “un disegno nazionale in un paese geograficamente ed economicamente complesso come il nostro”.

Ci vuole coraggio per accogliere il semplice e chiaro principio suggerito da De Ioanna: “Le Regioni e i comuni devono esercitare direttamente solo le funzioni connesse a poteri chiari e ben temperati di prelievo obbligatorio”.

Vedremo se il nuovo governo ne terrà conto

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