I roditori intorno ai soldi pubblici (di Claudio Lombardi)
Le notizie di oggi sono desolanti: le inchieste della magistratura in Lombardia mettono sotto accusa un’intera classe politica, dai consiglieri al presidente della regione; le multinazionali del farmaco si accordano per saccheggiare i fondi pubblici con una diretta conseguenza sulla salute di tante persone; all’ospedale Umberto I di Roma viene alla luce un sistema omertoso dominante da oltre un decennio che stringe in una comunanza di interessi vertici, dipendenti, alcune organizzazioni sindacali.
Nel primo caso l’ex presidente della regione, Formigoni, viene rinviato a giudizio per associazione a delinquere e corruzione cioè per aver permesso che un fiume di soldi passasse dalla regione alle tasche di alcuni privati che operavano nel campo della sanità. I danni recati dal sistema Formigoni-Daccò? Milioni di euro ovviamente.
I consiglieri regionali della Lombardia, così come tanti loro colleghi di ogni parte d’Italia hanno avuto la faccia tosta di usare i contributi pubblici per i gruppi consiliari per le loro spese personali (di tutto, dal cappuccino al prosciutto ai soliti ristoranti di lusso).
Sono anni che queste “rivelazioni” fanno luce sull’etica pubblica di tanta gente impegnata in politica. Al di là dei danni che hanno prodotto direttamente ciò che deve preoccupare è che il potere nelle mani di questi qua significa spreco e ruberie certi che, infatti, sono una presenza costante nelle azioni delle amministrazioni pubbliche a tutti i livelli negli ultimi decenni.
Due multinazionali del farmaco, Roche e Novartis, sono accusate di essersi messe d’accordo per far pagare il servizio sanitario nazionale 900 euro un farmaco che ha la stessa efficacia di uno da 50 euro. Nessuna autorità pubblica competente è riuscita a scoprire il trucco e ci ha pensato l’antitrust a rivelare la truffa. Scommettiamo che le due aziende avranno erogato generosi finanziamenti a qualcuno per mascherare l’imbroglio? Quanto ci è costato il giochetto? I giornali dicono 600 milioni di euro.
Un articolo in cronaca di Roma su Repubblica di oggi a firma Carlo Picozza illustra bene il caso esemplare e niente affatto isolato del Policlinico Umberto I.
Scrive Picozza “Promozioni senza concorso (né copertura finanziaria) per 1.606 dipendenti; gare d’appalto (per pulizie, vigilanza, ristorazione ed energia) annunciate e mai eseguite; proroghe decennali dei contratti di affidamento dei servizi; acquisti milionari, senza bandi, di farmaci e protesi”. È la sintesi delle irregolarità che l’attuale direttore generale ha ritrovato nelle gestioni passate dal 1999 ad oggi. Irregolarità che costituiscono l’oggetto di una denuncia trasmessa alla Corte dei Conti.
Bisogna precisare che l’ospedale è gravato da debiti pesanti e da un deficit annuo che si aggira intorno a cento milioni di euro. Come tutta la sanità pubblica, insomma, non naviga nell’oro, ma è in crisi. Colpa del destino? Non proprio, seguiamo l’analisi di Picozza, sapendo che qui non si parla di casta bensì di qualcosa di ben più pericoloso che caratterizza il caso italiano.
Il primo passo fu fatto alla nascita dell’azienda ospedaliera quando tutto il personale fu inquadrato in una qualifica superiore a quella con la quale era stato assunto. 1.606 persone “promosse” alla qualifica superiore sulla base della “sola dichiarazione di svolgimento di mansioni superiori”. Per essere chiari: un medico diventò primario, un impiegato dirigente. Evidentemente non bastò questo regalo perché “con un altro accordo” fu aggiunta alla retribuzione un’altra quota variabile, “proporzionale alla qualifica di provenienza”. Il regalo costò alle casse dell’ Umberto I 3 miliardi di lire all’anno. “Moltiplicati per 14 (dal 2000 a oggi), fanno 42 miliardi che, tradotti in euro, sono 21 milioni. Un terzo del deficit annunciato per il 2013 dall’azienda Policlinico”.
Ma, continua la ricostruzione di Picozza, “non finì lì. Gli ospedalieri insorsero dopo il trattamento riservato ai loro colleghi universitari. E, sostenuti dai sindacati, ottennero, con “l’equiparazione“, la corresponsione della stessa quota aggiuntiva”. Seguì “un altro inquadramento a dirigente del personale non medico passato dall’ateneo all’Umberto I”. E così “venne riconosciuta la qualifica di dirigente al personale universitario non dirigente: centinaia di persone, la maggior parte delle quali senza laurea”.
Nel mentre si svolgeva questo “grazioso” scambio di favori tra Direttori generali, dipendenti e sindacati ovviamente la gestione ordinaria andava avanti a ruota libera tanto che il nuovo Direttore generale autore della denuncia fatica oggi a capire l’intreccio di contratti e di oneri che gravano sull’ospedale cioè sui fondi per la sanità cioè sui soldi pubblici. Ecco, forse chi legge ha già capito a cosa serve distribuire favori a destra e a manca a spese dei bilanci pubblici: serve a comprare l’omertà (magari involontaria) di tanti.
Sarebbe bene che i dati del debito pubblico e dell’arretratezza italiana nelle infrastrutture e nei servizi fossero messe in relazione al lavorio di questi roditori che, però, non sono solo all’interno di una casta ristretta.
Se l’Italia se la passa male e risorse enormi sono state dilapidate non è solo perché la politica è in mano ad una casta che straguadagna e sgraffigna soldi pubblici a palate, ma perché esiste da decenni un blocco sociale che vive sulle spalle delle risorse pubbliche e che tiene insieme chi sta al vertice (qualunque vertice) e chi sta dentro un gruppo organizzato che tutela i suoi interessi. Una mano lava l’altra e tutte e due lavano il viso dice un vecchio proverbio
Claudio Lombardi
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