Il dibattito pubblico e la cecità del sovranismo
“Le leadership sono diventate il nostro gioco di ruolo, una simulazione collettiva di impegno civico a basso costo e sforzo”. Così scrive Flavia Perina su Linkiesta.
“Lo stato di disattenzione, sottoinformazione, distorsione percettiva e, infine, totale ignoranza dei pubblici di massa è scoraggiante”. Lo scriveva il politologo Giovanni Sartori quarant’anni fa.
Le esibizioni del leader della Lega, finto vice premier e finto ministro dell’interno completamento dedito alla propaganda per se stesso e per il suo partito, premiato da una costante e, apparentemente, inarrestabile crescita dei consensi sembra confermare lo schema: se sei un politico per gli italiani non conta ciò che fai e come lo fai, ma l’impressione che sai trasmettere.
La definizione più usata per descrivere Salvini è “uno di noi”. La comunicazione politica che conta oggi è quella che passa dai social. Discorsi semplici, anche scorretti nei quali prevale l’esibizionismo di un leader vicino ai cittadini, che parla, mangia e mostra di agire come loro. Stessa arroganza, stessa superficialità, stesso individualismo narcisistico, stessa assenza di argomenti. La logica è sempre quella di una contrapposizione amico/nemico che vive di etichette e prescinde da qualunque argomentazione e da qualunque approfondimento. È il trionfo del politico che scende al livello più basso e che illude i suoi elettori che non ci siano problemi complessi e che il ragionamento possa essere sostituito dalla battuta e dall’insulto.
In questo gioco al massacro della ragionevolezza e della competenza è l’estrema destra a farla da padrona. Nulla di nuovo sotto il sole però. Nazismo e fascismo hanno seguito questa strada: gli istinti peggiori elevati a valori, l’estrema semplificazione delle questioni, i leader come capi alla testa dei popoli. E dietro, la realtà ben nascosta alla comprensione delle masse, guidate, passo passo, verso lo sbocco di una guerra devastante.
Come dite? Salvini e Meloni non vogliono nessuna guerra? Certo. Ma il piano inclinato sul quale hanno messo l’Italia conduce verso lo scontro che, comunque, ci danneggia oggi e il futuro, non dipenderà da noi, ma, sempre più, dagli altri. Nessuno dei problemi reali del Paese (crollo delle nascite, produttività ferma, apparati pubblici inefficienti, scuola e sanità in regresso, potere delle mafie, infrastrutture deboli, struttura produttiva fragile) viene affrontato. Nell’inconsapevolezza generale dato che anche le opposizioni non riescono ad ergersi di fronte all’opinione pubblica come un’alternativa reale e soffrono in istupidimento intellettuale.
L’estrema destra ha goduto di un mutamento fondamentale nel dibattito pubblico e nella stessa sostanza della democrazia. Nell’epoca dei social e di internet l’illusione è che tutti possano intervenire su tutto e mettersi in contatto diretto con i capi. Da sempre, in democrazia, ignoranti e incompetenti, hanno potuto contare come le élite attraverso il voto. Ma oggi, prima del voto, c’è il dibattito pubblico e la comunicazione che privilegia la semplificazione dei messaggi e l’aggressività. Un ignorante aggressivo e determinato ha la possibilità di ottenere un enorme seguito a prescindere da qualunque verifica e fondatezza del suo discorso. Per anni il grillismo ha educato gli italiani all’odio verso i competenti visti, per ciò stesso, come asserviti a qualche potere forte. L’elogio dell’ignoranza e della semplificazione è stato raccolto dall’estrema destra leghista che ci ha aggiunto un minimo di concretezza e di esibizionismo ben centrato sui gusti di una parte degli italiani. In fondo tra il Grillo che esaltava con aggressività enormi sciocchezze nei suoi comizi-spettacolo e il Salvini che esibisce divise e selfie rimanendo sempre sul terreno della rabbia un po’ idiota non c’è nessuna differenza.
La novità è dunque che, nell’Italia del 2019, l’estrema destra controlla pienamente il dibattito pubblico.
Innumerevoli esempi lo attestano. L’ultimo è quello del caso di Bibbiano scagliato addosso al PD per distrarre l’opinione pubblica dal caso Moscopoli. Se l’opinione pubblica italiana fosse composta da persone mature, informate e responsabili la manovra diversiva sarebbe stata interpretata per quello che è: un tentativo di non ammettere l’enormità di una trattativa con una potenza straniera non alleata per vendere una svolta politica in Italia e in Europa in cambio di una tangente.
Non sarebbe esatto dire che l’elettorato di estrema destra che segue Salvini non abbia capito la verità. Peggio: l’ha accettata. Senza rendersi minimamente conto del danno reale inflitto all’Italia e di quello ben peggiore, inevitabile se la svolta leghista andasse in porto.
Tutto avviene con il ghigno rabbioso, mezzo sorriso e mezzo digrignar di denti, di chi si sente immerso in una lotta contro nemici immaginari mentre, realmente, si sta isolando e sta dichiarando guerra al percorso che l’Italia ha compiuto dalla caduta del fascismo in poi.
Bisogna chiamare col nome giusto ciò che sta accadendo: una guerra politico-culturale. Scatenata da ristretti gruppi dirigenti politici e da pochi intellettuali ormai si è diffusa ed è diventata la sostanza del dibattito pubblico etichettato sotto il nome di sovranismo. Tutta l’energia costruita in anni di educazione all’aggressività sui social è ormai tracimata dalle élite alla società intera. La parola d’ordine “prima gli italiani” contiene in sé una drammatica sconfitta: prima di cosa credono di venire gli italiani se il nostro Paese non ha nessuna possibilità di ergersi come una potenza mondiale e, fuori dall’Unione europea, è destinato ad essere solo un territorio di conquista?
La miseria strategica ed intellettuale delle nuove élite del sovranismo è trasparente e solo un pubblico becero e allevato ad odio e semplificazione può non accorgersene. Ma il guaio è che pagheremo tutti la boria e la superficialità di una parte degli italiani
Claudio Lombardi
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