Il liceo Virgilio e il rispetto dell’autorità a scuola
Un articolo coraggioso che prende spunto dalla vicenda del liceo Virgilio di Roma nel quale l’arresto di uno spacciatore ha provocato una mezza ribellione di parte degli studenti e dei genitori contro l’intervento della polizia è quello pubblicato sul Corriere da Adolfo Scotto di Luzio qualche giorno fa. Giustamente vi si fa notare che ciò che è accaduto “non riguarda semplicemente il consumo di hashish tra gli adolescenti, ma è in realtà una disputa sulla scuola pubblica e sul suo destino. Se cioè questa scuola debba rassegnarsi a sprofondare nella più totale disorganizzazione o se invece essa sia autorizzata a riaffermare il proprio diritto a orientare moralmente e intellettualmente i giovani.
A sentire certe madri fa più impressione il carabiniere che arresta lo spacciatore a scuola che lo spacciatore stesso preso a vendere hashish ai ragazzini durante l’ora di ricreazione”. Ricorda Scotto di Luzio che “ogni volta che accade una cosa del genere c’è sempre qualcuno che invoca dialogo e non repressione”. Porta gli esempi di Bologna, dove è stata trovata marijuana in classe e “anche allora l’immancabile «madre dello studente» volle dichiarare ai giornali il suo sconcerto” ovviamente per l’intervento della polizia a scuola. Identiche le considerazioni di alcuni genitori dei ragazzi del liceo Virgilio per i quali (come risulta da interviste pubblicate dai quotidiani) l’intervento dei carabinieri andava evitato: “meglio però sarebbe stato convocare il giovane colto in flagrante a un colloquio privato” vi si dice.
Opportunamente nell’articolo si ricorda che non tutte le scuole sono uguali e non lo sono le famiglie. Il clamore suscitato da ciò che è accaduto al liceo Virgilio probabilmente discende dalla “posizione di dominanza delle famiglie di un prestigioso liceo della capitale, prossime alla politica, alla stampa quotidiana, alla televisione” facendo sì che “la questione smarrisse ben presto i suoi termini reali per trasformarsi in un processo al preside sceriffo, colpevole di voler fare della scuola un bunker. Contro la concezione della scuola come comando di uno solo, collettivi studenteschi e genitori democratici debitamente organizzati in lista invocano la mediazione, il dialogo, la scuola come comunità educante orizzontale, fatta da insegnanti, famiglie, studenti, impegnati in una continua, ininterrotta, ricerca del compromesso”.
Qui si arriva al “cuore” dell’analisi. Scotto Di Luzio afferma che “è facile riconoscere l’inconsistenza di simili richieste. Non solo perché la comunità educante semplicemente non esiste, è una ispirata finzione pedagogica priva di qualsiasi riscontro nella vita reale. Ben più corposamente, nella scuola si muovono ormai da anni interessi particolari, gruppi organizzati, fazioni. E quando la pretesa di questi gruppi di imporre la mediazione tra parti organizzate soverchia l’autorità dell’istituzione questa smette semplicemente di funzionare. Nessuna educazione può essere infatti compiacente. E ogni educazione richiede, per potersi esercitare con una qualche efficacia, l’autorità intatta degli insegnanti. Troppo spesso si dimentica che l’educazione è un fatto eminentemente gerarchico. Ora è evidente che nessuna educazione si esercita se la vita degli studenti si sottrae ai principi elementari della legalità. Ripristinare questa legalità è il requisito minimo perché la scuola possa assolvere al suo compito educativo. Senza questa base di partenza, tutto il resto è inevitabilmente costruito sul nulla”.
L’articolo si conclude con la considerazione che “dietro la feroce opposizione al preside del Virgilio e alla sua decisione di chiamare i carabinieri agisce una convinzione più generale che si è largamente diffusa in questi ultimi vent’anni, l’idea cioè che la scuola pubblica, come istituzione laica affidata alle cure dello Stato, non abbia in fondo più niente da fare sul terreno della formazione delle giovani generazioni……
È questo allora il vero oggetto della disputa che la vicenda di Roma pone all’opinione pubblica italiana, se la scuola come istituzione nazionale possa ancora formare i suoi studenti o se invece debba rassegnarsi a diventare il teatro, sempre più degradato tra l’altro, di un democraticismo pedagogico inconcludente e avulso dalla realtà del Paese”.
Ha ragione Scotto di Luzio o ha torto?
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