Riapre la scuola: i limiti di un sistema che non funziona

Sembra proprio che, dopo sei mesi di chiusura, la scuola torni a funzionare. Tutti sanno che, nel periodo di sospensione delle lezioni, la didattica a distanza non è nemmeno stata un surrogato di quella ordinaria. Così come per il cosiddetto smart working dei dipendenti pubblici, l’insegnamento a distanza non si improvvisa da un giorno all’altro, con mezzi di fortuna (chi ha un pc dedicato con microfono e telecamera, chi ha un tablet, chi uno smartphone, chi ha una linea internet veloce e chi niente) e dovendo inventarsi metodi e programmi adatti a questa modalità di insegnamento. Diciamo la verità: gli studenti italiani hanno perso un intero anno scolastico. E rischiano di cominciarne un altro a “pezzi e bocconi”. Meglio esserne consapevoli invece di prendersi in giro inventando un insegnamento a distanza che non c’è stato. Riteniamo  questa verità importante o è meglio concentrarsi sul taglio dei parlamentari?

Ora tutta l’attenzione è concentrata sul covid e sulle regole per il distanziamento, la protezione e su quelle per reagire ad eventuali (diciamo pure: inevitabili) casi di positività. Impossibile che vada tutto liscio sia per l’alea che grava su una situazione che nessuno può controllare, sia per una preparazione che, come minimo, poteva essere più accorta. Inutile dare addosso al governo per i ritardi. Sono decenni che la scuola funziona male e che non si riesce a gestire con l’efficienza che ci vorrebbe per la prima struttura educativa e culturale del Paese, quella che deve preparare le giovani generazioni ad affrontare la vita e a svolgere un ruolo nella società. La scuola poggia su un tale intreccio di interessi che solo un governo con idee chiare, risorse, coraggio e molto tempo a disposizione (almeno un decennio) può sperare di cambiare qualcosa. Cioè esattamente ciò che l’Italia non ha da una cinquantina d’anni.

Se vogliamo fare discorsi di verità non dobbiamo parlare di covid e smetterla di parlare di scuola solo attraverso la lente delle assunzioni degli insegnanti. È grottesco sentire ogni anno annunci di concorsi ed assunzioni per decine di migliaia di posti e, contemporaneamente, la necessità di altrettante supplenze (che generano altro precariato che poi premerà per entrare in ruolo senza alcuna selezione). L’immagine che ne ricava un cittadino comune è di una situazione caotica e fuori controllo, nella quale non vi è alcuna stabilità e continuità nell’insegnamento. Inevitabile, quindi, che la qualità attesa dal sistema dell’istruzione punti sempre più verso il basso. Chi governa (chiunque!) ha interesse ad evitare conflitti con un mondo nel quale ruotano milioni di persone e chiude volentieri un occhio sulle lacune formative degli studenti prodotte da un sistema instabile e confuso. Tanto per queste non si paga un prezzo alle elezioni.

Questo sarebbe, infatti, il punto: i giovani italiani ricevono dalla scuola una preparazione insufficiente e approssimativa. Ce ne parla una mamma che ha due figli, di 16 e di 20 anni; uno che ha concluso il ciclo di studi superiori e l’altra che lo sta ancora seguendo. La città nella quale vivono appartiene alla regione Toscana ed è di dimensioni medio-piccole (poco più di 80 mila abitanti). Dunque una delle regioni meglio organizzate d’Italia e una città a “dimensione d’uomo”. Paola (il nome della signora) esprime un giudizio molto severo sullo stato della scuola. I ragazzi non sanno nemmeno scrivere in corsivo e ricorrono ad un linguaggio mutuato dalla messaggistica dei loro smartphone con parole spezzate, sigle e frasi brevissime. Al tempo delle elementari la figlia più giovane avrebbe dovuto ricevere i primi rudimenti di inglese. Al terzo anno non sapeva nemmeno dire come mi chiamo, quanti anni ho e frasi simili. I disturbi dell’apprendimento (dislessia, disortografia, discalculia) sono usati come giustificazione per non sollecitare gli studenti ad impegnarsi per superarli. In generale gli insegnanti tendono a non giudicare gli alunni e ad accomodarsi al loro livello più basso per evitare di entrare in urto con le famiglie e per l’indeterminatezza dei programmi scolastici. Mancano le nozioni di base per essere cittadini di un mondo complesso e manca l’apprendimento di un metodo di studio e di comprensione critica dei testi. L’idea che Paola si è fatta avendo seguito tutto il percorso di studio dei figli è che dalla scuola escano giovani impreparati ad affrontare un lavoro e la costruzione di una vita autonoma. Paola non ha una buona opinione di chi lavora nella scuola. Ha visto troppe volte prevalere gli interessi di categoria anche di fronte a problemi oggettivi. Addirittura in un caso le è capitato che gli insegnanti di una scuola che presentava vistose crepe nei muri e caduta di pezzi di intonaco cercassero di nasconderle per non correre il rischio di essere trasferiti in un edificio ad alcuni km di distanza.

La lunga chiacchierata con la signora Paola si conclude con espressioni di profonda sfiducia sulla possibilità di una ripresa dell’Italia che guardi oltre all’attuale emergenza sanitaria. Se i giovani non sono formati e se non ricevono esempi di rigore e di impegno né nel sistema scolastico e nemmeno nelle famiglie il loro destino sarà di cercare protezione e comprensione per le loro lacune e incapacità. Protezione e comprensione che ad un livello generale si tradurranno inevitabilmente in una crescente pressione perché lo Stato distribuisca assistenza e posti di lavoro senza chiedere molto in cambio. Esattamente l’opposto di ciò che sarebbe necessario per uscire non dalla crisi del covid, ma dal declino italiano che è in corso da molti anni.

La scuola è un indicatore prezioso per capire in che direzione sta andando la nostra società e da ciò che possiamo vedere non c’è da aspettarsi nulla di buono. Covid o non covid

Claudio Lombardi

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