La diffidenza verso la funzione di governo
Dal blog di Ivan Scalfarotto riportiamo ampi brani di una sua riflessione sulla riforma costituzionale e su un nodo cruciale che condiziona le posizioni dei suoi oppositori: la diffidenza verso la funzione di governo.
“Il vero punto è che …. ho capito con chiarezza una cosa: e cioè che (si ritiene) veramente democratico quel sistema in cui il Parlamento ha come compito quello di limitare il governo. Non di sostenerlo, ma di arginarlo. Non di stimolarlo e appoggiarlo, ma di creargli degli ostacoli. In sostanza, il compito del Parlamento in una democrazia sarebbe quello di mettere in difficoltà l’esecutivo che esso stesso ha espresso.
E’ il proporzionalismo che è in noi, il consociativismo che è in noi. E’ lo spirito della prima repubblica che ha radici profonde nel nostro sistema politico e nella nostra identità politica. E’ l’idea che aver avuto 63 governi in 70 anni, in fondo, non sia stato poi così male. E’ l’idea che il governo costituisca in un certo senso un pericolo in potenza, che va sorvegliato perché non si trasformi in tirannide. Pazienza se è stato eletto democraticamente dalla maggioranza dei cittadini.
Voglio che ci sia un sistema istituzionale efficiente che sveli le capacità o l’inettitudine di chi governa. Berlusconi ha detto per vent’anni che aveva tante belle idee, ma che non gliele hanno lasciate mettere in pratica, e con questo alibi, senza combinare nulla, ha vinto tre elezioni politiche. Ecco, questi alibi devono sparire. E al termine dei cinque anni di governo bisogna tornare dagli elettori con la lista delle cose fatte e con la lista di quelle non fatte, senza scuse. E’ un modo per rispettare davvero la democrazia e dare davvero al popolo sovrano gli elementi che gli servono per deliberare.
Il punto cruciale, il vulnus che una parte assai ben definita del mondo politico e della classe dirigente rimproverano a Matteo Renzi è l’idea che il Governo debba governare. E’ a dire che debba fare delle scelte e assumersene le responsabilità, facendosi carico delle inevitabili scontentature. Un procedimento tipico delle democrazie decidenti, ma del tutto ignoto alle democrazie consociative.
Il complesso del tiranno, la sindrome dell’uomo solo al comando, e le altre assortite baggianate con cui si camuffa questa crociata celano non l’ostilità a questo Governo o a questo premier, ma quella all’idea stessa di Governo, alla possibilità che il potere Esecutivo sia anche in Italia effettivo, lineare, trasparente.
Perché l’assenza di governo ha i suoi pregi, le sue sacche di privilegio, le sue rendite. Nel torpido ed imbozzolato sistema della consociazione si incistano i controllori della mediazione, i faccendieri dei codicilli e delle interpretazioni, i mille Ghini di Tacco delle tortuosità italiane. Tutti attentissimi ad impedire che un Governo qualsiasi possa (sotto lo stretto controllo del Parlamento e degli istituti di garanzia, per tacere del supremo contrappeso della giurisdizione) aprire le finestre, togliere polvere e ragnatele, sostituire la penombra con la luce.
Non sono per nulla preoccupato per la nostra democrazia. Innanzi tutto perché stimo gli italiani come un popolo civile e dalla profonda cultura democratica. E perché so che la democrazia non si tutela solo in parlamento, ma che gli anticorpi sono presenti nella nostra società a molti livelli: la magistratura indipendente, la libera stampa, la libertà di manifestare in piazza.
Democrazia, insomma, non è un paese senza governo. La democrazia è un governo efficiente in un sistema di controlli efficaci e di libertà diffuse. Un governo che è espresso e sostenuto, non boicottato sistematicamente, dal Parlamento. Il Parlamento deve essere libero di sfiduciarlo – se necessario, e come extrema ratio – ma normalmente il governo dovrebbe trovare nel Parlamento una funzione di cooperazione e di stimolo.
Una democrazia vera e moderna funziona così, e la riforma costituzionale serve a questo. Un governo stabile non è un attacco alla libertà, un governo stabile è semplicemente lo strumento di direzione politica di un paese. Se non ce l’hai non puoi che navigare a vista. In fondo basterebbe chiedersi perché i grandi paesi hanno governi stabili e quale prezzo l’Italia abbia pagato per non averli avuti, in termini di prestigio e credibilità internazionale e anche di efficacia nell’azione politica ed economica. Quello è il prezzo che continueremo a pagare se la riforma non sarà confermata dal voto popolare.
Di Ivan Scalfarotto tratto da http://www.ivanscalfarotto.it
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Fornisci il tuo contributo!