Lo snodo dell’ Italicum
L’Italicum è la legge elettorale che ha sostituito il c.d. “porcellum”, legge dichiarata incostituzionale dalla Consulta. In sintesi esso prevede:
– Soglia di sbarramento del 3% al di sotto della quale i partiti più piccoli non ottengono seggi;
– Elezioni in 100 collegi (contro le precedenti 27 circoscrizioni) sulla base di liste composte da un numero limitato di candidati (6 in media), con capolista bloccato e possibilità di due preferenze (una per un uomo e una per una donna);
– Premio di maggioranza per la lista più votata che raggiunga il 40% dei voti o, in mancanza, doppio turno di ballottaggio.
Molti dei contrari alla Riforma Costituzionale, vanno ripetendo che essa, combinata con l’Italicum, la nuova legge elettorale, crea un problema per la democrazia nel nostro paese. Costoro sottolineano come un partito che prenda una percentuale di voti relativamente modesta, in una consultazione cui partecipa poco più del 50 % degli aventi diritto, potrebbe ottenere un indebito premio di maggioranza in termini di seggi. Di conseguenza dipingono scenari autoritari e concentrazione del potere in mano ad un solo uomo, Matteo Renzi, sostenuto dal PD.
Il ragionamento, esatta fotocopia di quello ormai quotidianamente svolto da Silvio Berlusconi e dai partiti di centro destra, ma caro anche a molti nostalgici del proporzionale e dei partitini del 2 %, in grado di ricattare e far cadere i Governi, fa acqua da tutte le parti, a partire dal presunto pericolo renziano.
Su quest’ultimo aspetto c’è ben poco da dire: non è affatto certo che Renzi possa vincere le prossime elezioni politiche, anzi è assai probabile che i vincitori siano i Cinque Stelle e non è affatto da escludere neppure una maggioranza di destra, nel caso quest’ultima si ricompattasse. Quindi siamo di fronte ad una legge che avrà l’effetto di garantire maggioranze certe ed esecutivi in grado di governare, ma certo non sarà di per sé vantaggiosa per uno o per l’altro dei candidati.
L’Italicum, benché ancora inapplicato, è stato già rinviato da un giudice alla Corte costituzionale, ma è opinione comune, anche tra i più autorevoli giuristi, che la Corte ne confermerà la legittimità costituzionale, in quanto, differentemente dal Porcellum, la legge precedente, prevede una soglia adeguata (40%) al di sotto della quale il premio di maggioranza non scatta.
Coloro i quali dipingono i più foschi scenari, ignorano volutamente il fatto che il problema democratico non dipende dalla legge, che prevede sì un premio di maggioranza, ma solo per quel partito che raggiunga una soglia molto alta dei voti espressi: davvero raramente, in Italia, un partito ha raggiunto il 40% dei consensi.
Nel caso in cui nessun partito raggiunga tale soglia, si effettua un ballottaggio tra i due più votati ed è il vincitore ad aggiudicarsi il premio. In quest’ultimo caso, dunque, il premio viene erogato solo dopo un doppio pronunciamento degli elettori.
Occorre aggiungere che la tesi del pericolo democratico che deriverebbe dalla combinazione di Riforma costituzionale e Italicum, non è stata sostenuta neppure dai più qualificati dei sostenitori del No: i cinquanta costituzionalisti per il No, nel loro documento indicano molte ragioni di dissenso dalla Riforma, ma esprimono chiaramente il concetto: “Non siamo fra coloro che indicano questa riforma come l’anticamera di uno stravolgimento totale dei principi della nostra Costituzione e di una sorta di nuovo autoritarismo”. Quello del pericolo democratico, dunque, è solo un argomento di propaganda teso ad arrivare alla pancia di certo elettorato.
Altrettanto dicasi per coloro che accostano il premio di maggioranza previsto dall’Italicum a quello della c.d. Legge Scelba (1953), poi ritirata a causa delle fortissime proteste dei lavoratori: stiamo parlando di condizioni storiche del tutto diverse, di una legge proporzionale pura, incostituzionale per mancanza di ogni tutela e garanzia per le minoranze, in cui si contrapponeva un sistema di potere già solidamente ancoratosi nella realtà socio – economica, quello democristiano, ad un’opposizione di sinistra, che avrebbe visto gravemente compromesse le proprie possibilità di alternanza e persino di sopravvivenza.
Il vero problema democratico è da collegare, invece, alla scarsa partecipazione al voto ed alla disaffezione degli elettori, disaffezione che nulla ha a che vedere con il meccanismo elettorale, come ben noto.
Questa disaffezione, a mio avviso, è nata con la consapevolezza del fatto che non erano previste conseguenze in caso di non voto, concetto presente, invece, nel dopoguerra; si è sviluppata con l’abuso dei referendum abrogativi sugli argomenti più svariati, anche su argomenti di scarso rilievo; si è radicata man mano che cresceva un vero e proprio partito del non voto. Quest’ultimo sì pericoloso, in quanto esprime un disagio profondo.
La legge è preordinata a favorire l’alternanza, di modo che chi governa abbia una maggioranza stabile e sicura, debba assumersi la responsabilità dei propri atti e si sottoponga, al termine del mandato, al giudizio degli elettori senza l’alibi dell’azione di freno determinata da condizionamenti, inciuci e ricatti di una parte della maggioranza, magari da gruppi piccolissimi ma determinanti in condizioni in cui manca ogni tipo di correttivo.
Il premio di maggioranza non va quindi inteso come vantaggio indebito, ma quale elemento di stabilità delle maggioranze, in modo da porre termine alle frequentissime crisi che hanno caratterizzato la nostra storia politica.
Di un sistema in cui la maggioranza abbia la forza per sostenere un esecutivo stabile, trae giovamento anche la democrazia, in quanto il voto diventa effettivamente strumento per penalizzare i meno capaci e cresce lo stimolo ad un ritorno alla partecipazione.
In un sistema caratterizzato da maggioranze instabili, da Governi senza solidità, invece, il pericolo della crescita ulteriore del populismo ed i rischi per la democrazia aumentano: ne abbiamo avuto un piccolo saggio in occasione della mancata elezione del Presidente della Repubblica, quando, dopo che erano state bruciate le più autorevoli candidature, si dovette rieleggere Giorgio Napolitano, sacrificatosi nonostante il proprio desiderio di lasciare. Fu proprio in un clima analogo (decido ma non decido, non ho la forza di decidere), che nella Repubblica di Weimar fece la sua ascesa il Partito Nazionalsocialista
Oliviero Emoroso
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