La questione palestinese diventata centrale solo in Europa

La questione palestinese diventata centrale solo in Europa

Mentre in Italia impazza il “blocchiamo tutto” nel nome di un fiancheggiamento sempre più solitario di Hamas travestito da “questione palestinese” Arabia Saudita, Giordania, Emirati Arabi Uniti, Indonesia, Pakistan, Turchia, Qatar ed Egitto appoggiano la proposta Trump. Lo stato palestinese non è più la questione centrale, ma solo un’auspicabile benché lontana conseguenza di un riassetto del medio oriente. L’impressione netta è che la “questione palestinese” abbia fatto il suo tempo e oggi sia un peso. Nel passato è stata una grande invenzione che ha permesso agli stati che oggi sottosrivono il piano di pace di provare ad annientare Israele. Sono stati sconfitti e oggi è rimasto solo l’Iran come agente della destabilizzazione. L’ultimo assalto ad Israele con la guerra scatenata il 7 ottobre 2023 è fallito rovinosamente. L’Iran è stato colpito, Hezbollah ha ricevuto colpi durissimi, Hamas è quasi annientato, gli Houthi hanno i giorni contati. Israele ha usato tutta la forza di cui dispone a livelli mai prima raggiunti ed ha fatto bene. Le guerre non bisogna farle, ma se qualcuno aggredisce una democrazia allora bisogna combattere e vincere. D’altra parte l’Europa nasce da una guerra spaventosa contro il nazifascismo. Perché solo Israele non avrebbe il diritto di eliminare i suoi nemici?

Fallito l’assalto dell’Iran e dei suoi agenti a Gaza e in Libano, Siria, Iraq, Yemen ora si può riprendere il cammino degli Accordi di Abramo interrotto proprio dall’assalto del 7 ottobre. Il corridoio IMEC è la prospettiva che conferisce un senso al riassetto del medio oriente snodo fondamentale di una nuova via di collegamento tra Asia ed Europa in alternativa alla strategia di Pechino della “nuova via della seta”. L’Iran, alleato della Cina, mirava a far saltare tutto facendo esplodere una guerra regionale che avrebbe dovuto mettere in ginocchio Israele e impedire che si consolidassero i rapporti con gli stati arabi. Il pretesto era la sempiterna “questione palestinese”, una riserva di odio e di radicalismo accuratamente coltivata per decenni per scagliarla contro lo stato ebraico inteso come avamposto del mondo occidentale inserito, come una scheggia, in quello islamico.

Non sono stati i paesi arabi a far fallire questo disegno. Certo, non sono caduti nella trappola di partecipare alla guerra e in occasione dei bombardamenti con missili iraniani su Israele hanno contribuito ad intercettarli. Si sono però messi in attesa e solo la forza israeliana li ha convinti ad aderire al piano di Trump che di quella forza è un riflesso. Israele ha sgombrato il campo e il cammino può riprendere. Questo il senso di ciò che è accaduto.

Il problema del medio oriente non è più la “questione palestinese”, ma il radicalismo islamico coordinato dall’Iran che vuole impedire la distensione tra mondo arabo islamico e Israele. Non tornano ancora i conti quindi e, soprattutto, continua la lavorazione dell’uranio arricchito nelle centrali segrete nascoste alle ispezioni dell’AIEA. Ma tempo al tempo. Un Iran con la bomba atomica nelle mani dei pasdaran resta una minaccia da eliminare.

Il problema serio è anche un altro. Questa volta, ben più che in passato, gli utili idioti delle opinioni pubbliche occidentali hanno fornito un prezioso sostegno alla causa dell’estremismo terroristico di Hamas che ha messo in gioco la vita di due milioni di palestinesi. Il fenomeno è l’appoggio acritico ad un movimento terroristico che si è fatto stato senza rinunciare al suo programma di annientamento di Israele. Ebbene questo programma è stato condiviso nei paesi europei da un vastissimo movimento di opinione e dallo schieramento compatto dei media che hanno sposato la causa di Hamas (Palestina libera dal fiume al mare), che ne hanno rilanciato la narrazione, che hanno avvalorato le falsità della sua propaganda.

È bastato trasformare in causa umanitaria la guerra per far emergere un odio sommerso contro Israele, contro l’Occidente, contro la società libera e contro il progresso tecnologico e scientifico. Una fogna di pensieri bui che si era già manifestata negli anni passati in vari modi, che è passata dalla colpevolizzazione del mondo occidentale per il sottosviluppo prodotto dalle culture arretrate e per lo sviluppo economico che avrebbe distrutto il pianeta determinando anche i cambiamenti climatici che per alcuni anni sono stati l’ossessione dei partiti progressisti occidentali, in un’atmosfera di fanatismo quasi religioso.

Per molti anni tutto ciò che proveniva dal Terzo mondo aveva il crisma della purezza e ogni aberrazione era giustificata dalle ingiustizie patite. E poi l’immigrazione subita. Secondo il credo progressista Europa ed Usa dovevano accogliere chiunque volesse condividere il benessere occidentale senza chiedere in cambio almeno il rispetto delle nostre regole. Il multiculturalismo ha creato la basi per la costituzione di enclave etniche e religiose di cui ha ampiamente approfittato la componente islamica che oggi in vari paesi europei è in grado di condizionare le scelte dei governi.

La “questione palestinese” in Europa è stata l’occasione per consolidare una presa emotiva sull’opinione pubblica, sui giornalisti, sulle università, sulle scuole che abbiamo visto esprimersi nelle proteste di questi ultimi due anni e che rappresenta una minaccia di disgregazione di un mondo che ha enormi dubbi sulla propria identità e che non sa più cosa difendere

Claudio Lombardi

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