La semplicità delle sardine

Non so dove abbiano imparato le cose della vita e della politica i quattro ragazzi di Bologna che hanno dato inizio a questo processo di riempimento delle piazze italiane, europee, e persino di qualche luogo simbolico americano (là le piazze in genere sono crocicchi di strade). Un processo del quale, bene o male, si parla ormai ogni giorno, ma ho l’impressione che le abbiano imparate in modo magistrale. A tal punto che coloro che pensano che ogni espressione di intelligenza sia un complotto e sono talmente di destra, talmente maldestri insomma da andare fuori strada, sono spaesati e da tempo sguinzagliano degli 007 alla ricerca degli ispiratori: la realtà, come ben sappiamo, è estranea ai malpensanti, per loro c’è sempre una “spectre” dietro l’angolo che la determina. 

La lunga lettera che hanno scritto a Repubblica, e che è finita in prima pagina, è un esempio di comunicazione ben fatta. Hanno cominciato a imporre con semplicità, nell’incredulità dei media e delle élites politiche, economiche e culturali, una nuova “narrazione” (direbbero i mass-mediologi) della realtà italiana e, mi spingo perfino a dire, occidentale. C’è solo un mese che distanzia la sera di Piazza Maggiore a Bologna (14 novembre) dal giorno di Piazza S. Giovanni a Roma (14 dicembre). In quel mese si sono riempite 92 piazze in tutta Italia e 24 piazze europee e americane. Altre se ne riempiranno ancora nelle prossime settimane. Verranno occupati anche luoghi simbolici dall’opposto significato come Predappio e Riace in primo luogo. Mi verrebbe da dire un po’ ottimisticamente che “niente sarà come prima”, ma mi faccio prudente per il timore che la mia immaginazione corra più rapidamente della realtà staccandosene al punto da non riconoscerla.

Per fare che cosa andate in piazza? Lo chiedono i soliti intellettuali, sempre quelli, che fanno compagnia di giro nei talk show televisivi. Per dire che esistono, rispondo io, che esistono in carne ed ossa e vogliono riconoscersi tra di loro in primo luogo, dopo tanto tempo che sono stati in silenzio a spingere in avanti il nostro tempo, lavorando, studiando come tutte le persone normali, aiutando alcuni i più deboli, divertendosi anche, perchè no? Per dire che sono stufi di sentire digrignare i denti per delle paure create ad arte, di udire urla di disprezzo e di odio, minacce gridate spesso nell’anonimato, ma con obbiettivi ben precisi, sono stufi degli astratti furori amplificati per mille, presi a pretesto per commettere nefandezze a danno di improvvisati capri espiatori, sempre gli stessi, sono stufi delle menzogne sparse a piene mani per poter mandare al governo con i pieni poteri uno dei sette nani, il più balordo.

Sono andati in piazza per chiedere a ognuno di fare con serietà il proprio lavoro e a chi fa politica di essere degno della responsabilità che ha, di essere più preparato di coloro che rappresenta e che in qualche modo governa. Cose rivoluzionarie, come si vede, anche se sembrano ancora poco a chi non vuole proprio comprendere. Mi ha fatto piacere vedere in piazza San Giovanni, a Roma, un cartello che faceva eco al “de vulgari eloquentia” di Dante: “Ma noi, la cui patria è il mondo come ai pesci il mare”, un cartello ben fotografato che è finito sui giornali e mi ha ricordato il valore di una lingua e di una cultura allora nascenti, quand’era il “latinorum” del potere a farla da padrone, mi ha ricordato le mie speranze di studente che amava i classici e che pensava ad un futuro certo faticoso da costruire, ma importante e gentile per tutti. Eccoli i radical chic, ha gridato qualcuno il giorno dopo, qualcuno che ha in odio il meglio della nostra cultura tradizionale, cultura popolare, e che sparla sempre a vanvera non conoscendo che luoghi comuni, una delle tante jatture di questo Paese che pure amiamo.

Perchè andate in piazza? Continuano a chiederlo le compagnie di giro dei talk show, come se gli mancasse materia da discutere. A chi volete assomigliare? Quali sono i vostri programmi? Sono inquieti di fronte a fenomeni nuovi che non riescono a inquadrare nei loro schemini, hanno fretta di apporre etichette, non sanno, o non ricordano, che secondo un vecchio proverbio dei nostri bisnonni, “la gatta frettolosa fa i gattini ciechi”, e secondo il Qohelet biblico “c’è un tempo per ogni cosa”. Verrà anche il momento di dire cosa è necessario fare per l’Italia, l’Europa, il mondo, lo sanno anche le sardine, ma senza sbraitarlo ogni giorno dalle televisioni e dai social con la sicumera dei tromboncini che li popolano. Intanto ci si accontenti del messaggio implicito di tipo politico-esistenziale, che è già tanto per il tempo in cui viviamo, un salto culturale enorme per chi ha la voglia e l’umiltà di ascoltarlo. Tanto più che nessuno intende imporre una lettura univoca.

Ciò che mi viene da dire, interpretando la situazione e osservando i cartelli portati in piazza, è che la globalizzazione non è uno spauracchio da combattere lancia in resta, ma una realtà da vivere con mente aperta cercando di cogliere le possibilità di miglioramento della vita di ognuno. Del resto chi ha organizzato per primo le manifestazioni appartiene al complesso delle generazioni “erasmus”, quelle che hanno per casa l’Europa, oltre all’Italia.

Ma, sovranisti e nazionalisti, di fronte alla globalizzazione, cercano di deviare la storia verso un passato che certo non è mai stato brillante per coloro che non avevano altro per le mani che le proprie catene, ed erano di gran lunga i più. Lo fanno sfruttando cinicamente le paure della gente, la mancanza di un’informazione corretta sulle cose della scienza, dell’economia, della cultura, della vita, la tendenza a reagire ai problemi che si presentano nella quotidianità solo con degli slogan che semplificano arbitrariamente la realtà, invece che con il ragionamento consapevole che richiede la complessità del mondo. Sfruttano la debolezza della politica nel quadro di una democrazia rappresentativa che fatica persino a difendere lo “Stato di diritto”. Costruiscono immagini fasulle della realtà, aizzano all’odio ed all’esercizio pubblico della rabbia e del rancore, cercando di ricavarne vantaggi elettorali. Miserie dei populisti che sfruttano le debolezze dei popoli.

Anche gli strumenti di comunicazione interattiva, apparentemente più moderni dei vecchi media, sono stati piegati a questo scopo. I social network sono stati colonizzati da bugiardi, odiatori, insultatori di professione e da alcuni uomini politici senza onore che li usano come clave contro chiunque si ponga sul loro cammino alla ricerca dei “pieni poteri”. Ma non durerà, non può durare. Si avverte con le sardine già una reazione che punta ad un loro uso non bugiardo e strumentale, un uso più gentile, più funzionale anche alle esigenze di uno sviluppo culturale che tutti hanno, anche quando non lo sanno.

Le sardine c’erano anche prima della manifestazione di Bologna del 14 novembre, ma non sapevano di essere tante e non si conoscevano tra di loro. Ognuna era stanca dell’andazzo di un Paese che non sa utilizzare le sue risorse umane migliori e punta al peggio impoverendosi sempre più, mettendo a rischio per altro anche la propria democrazia. Qualcosa di nuovo si avverte sotto il sole, coraggio e continuiamo. Buon Natale.

Lanfranco Scalvenzi

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