La Svezia e i guai dell’immigrazione incontrollata
Non c’è bisogno di attendere i conteggi finali per sottolineare il dato politico: in Svezia è cresciuta una destra estremista e si è unita a quella più moderata riuscendo a vincere le elezioni dopo decenni di prevalenza socialdemocratica. In una delle patrie del bel vivere, della civiltà e della pacifica convivenza si è verificato un terremoto che non è solo politico, ma assume i tratti della ribellione culturale e civile. Gli svedesi non ne possono più delle conseguenze di una immigrazione sregolata. Giulio Meotti in un recente articolo sul Foglio riporta una lunga citazione dell’economista svedese di origine curda Tino Sanandaji che ha scritto un libro (“Mass challenge”) su come la Svezia ha messo in crisi il suo modello multiculturalista. “C’è stata una profonda evoluzione del partito socialdemocratico svedese negli ultimi tre anni. Fino al 2019 la posizione ufficiale del partito era che l’immigrazione non avesse alcun impatto, che fosse necessario salvare lo stato sociale e che coloro che ritenevano i tassi di immigrazione più elevati come la causa del drammatico aumento della violenza fossero dei razzisti. Ora la posizione ufficiale dei socialdemocratici è di ammettere che l’immigrazione contribuisce alla segregazione. La Svezia è una società del consenso: quasi l’intero spettro politico, a eccezione di una piccola minoranza, era favorevole all’apertura delle frontiere nel 2015-2016 e l’intero spettro politico a eccezione di una piccola minoranza ora sostiene la limitazione dell’immigrazione”.
Ancora più chiara è stata la premier uscente, la socialdemocratica Magdalena Andersson: “non vogliamo Somalitown nel nostro paese”. “La politica svedese di integrazione degli immigrati è fallita, portando a società parallele e alla violenza tra bande”. Il riferimento è alle bande composte di immigrati che tengono in scacco interi quartieri di Stoccolma e che si danno battaglia per il controllo dei traffici criminali a suon di sparatorie.
La causa è evidentemente una mancata integrazione, ma anche un eccesso di immigrati. Lo conferma il ministro svedese all’immigrazione per il quale ci sono troppe zone in cui la maggior parte degli abitanti proviene dal di fuori dei paesi nordici. Già se ne era accorto il governo (socialdemocratico) danese che ha fissato un tetto del 30% della popolazione di origine non occidentale entro il 2030. Il ministro dell’interno danese, inoltre, ha dichiarato che troppi non occidentali residenti nella stessa area “aumentano il rischio di nascita di società religiose e culturali parallele”.
I fatti parlano chiaro: la Svezia, un tempo isola felice, è diventata il paese europeo con il più alto tasso di sparatorie mortali. Già in agosto è stato quasi raggiunto il numero di morti in sparatorie del 2020 (44 contro 47). Inutile girarci intorno: i responsabili di questo incremento della criminalità sono gli immigrati. Che l’integrazione sia fallita è più che evidente. Che molti dei nuovi arrivati abbiano applicato al paese che li ha accolti le logiche guerresche apprese nei paesi di provenienza è pure evidente. Occorre riflettere sul successo delle destre svedesi perché la sottovalutazione dei problemi di un’immigrazione mal gestita e di un multiculturalismo che produce separazione tra gruppi etnici e religiosi e intolleranza, porta alla ribellione sociale e al rifiuto di tutti gli immigrati avvertiti come corpi estranei.
Non si tratta solo di criminalità, ma anche di modelli culturali che non accettano la “diversità” occidentale. La libertà e la parità di tutte le religioni e i rapporti paritari tra uomini e donne costituiscono le basi per l’incomprensione e il rifiuto reciproco. Tanti episodi di rivolte di piazza e di attentati motivati dal mancato rispetto per l’Islam (la strage di Charlie Hebdo, il tentato omicidio di Salman Rushdie) dimostrano che per molti immigrati la tolleranza e la libertà di opinione finiscono dove inizia la loro religione.
A nulla servono, dunque, le prediche buoniste sul dovere di accoglienza a tutti i costi che, tra l’altro, si riferisce sempre a chi attraversa il Mediterraneo come se con ciò si esaurisse il fenomeno migratorio. Filippini e sudamericani per fare un solo esempio non compaiono mai nelle cronache. Il problema dell’immigrazione incontrollata esiste così come quello dell’integrazione, ma bisogna intendersi: questa funziona se chi arriva accetta le regole e i valori del luogo dove chiede di fermarsi a vivere e se incide su piccoli numeri diluiti nel tempo. Diversamente gli immigrati, specialmente se non si sentono tutelati, finiscono per riprodurre il mondo dal quale provengono nel paese che li accoglie e diventano un gruppo chiuso.
L’unica strada è l’immigrazione regolare che parta dai luoghi di origine e permetta di assorbire la domanda di ingresso in Italia e negli altri paesi europei secondo un contingentamento che tenga conto anche della qualificazione professionale. I permessi di soggiorno per la ricerca di un lavoro devono essere la regola superando la ridicola finzione delle regole attuali.
Finora non è stato fatto nulla di costruttivo perché l’immigrazione da troppi anni viene usata da varie forze politiche come bandiera e il caos fa parte del gioco
Claudio Lombardi
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