La transizione green? Un suicidio industriale!
Di Marco de’ Francesco dal sito www.industriaitaliana.it
Sulla Transizione Green occorre un bagno di realismo. Di per sé la decarbonizzazione, l’energia pulita, l’auto elettrica – sono tutti fenomeni potenzialmente positivi, che non possono che migliorare il mondo in cui viviamo. Potenzialmente, però: è la modalità, la strada imboccata dalla Commissione Europea a renderla deleteria, ai limiti del suicidio industriale. Travolto da una visione messianica e salvifica, l’ente guidato da Ursula Von Der Leyen ha trascurato di accertarsi che esistessero le basi, i fondamentali per una simile transizione: le materie prime – ad esempio i metalli per le batterie green ma anche le terre rare per i dispositivi high-tech – e i capitali. Per poi scoprire che delle prime (soprattutto le terre rare) non c’è traccia nel Vecchio Continente, e che quanto ai secondi nessun Paese europeo ne dispone abbastanza – visto che solo per l’Italia si parla di trilioni di euro.
L’Europa, così, si consegna alla Cina, che astutamente ha fatto incetta delle materie che serviranno alla transizione mondiale e quindi “europea”, e che saranno messe sul mercato a carissimo prezzo. Al contempo, la Cina venderà i suoi beni finiti a prezzi inferiori, disponendo dei fattori produttivi primari. Una follia che rischia di cancellare intere filiere industriali. Che si può fare, a questo punto? È difficile superare l’isterismo ambientale che ha ormai tratti millenaristici e che ha permeato gran parte della società del Vecchio Continente. La Commissione Europea dovrebbe prendere atto della propria incompetenza quanto a visione strategica e fare un passo indietro. Rallentare il meccanismo consentendo all’industria di mettere in moto innovazione tecnologica sostenibile economicamente e socialmente – come per esempio i processi di re-manufacturing e de-manufacturing – per recuperare e riutilizzare sistematicamente almeno una parte delle materie di cui l’Europa ha bisogno sotto forma di materie prime seconde.
Occorre, soprattutto, tempo – perché le transizioni, laddove vi sono implicazioni sociali, richiedono tempo. Il non aver agito per tempo (e questo vale per tutti i Paesi) non legittima l’agire di fretta e in maniera insostenibile di oggi: accelerare sì, ma, laddove siano palesi infattibilità, rallentare e aspettare che un progresso tecnologico reale si possa sviluppare. Pensare che dall’oggi al domani si possano sciogliere tutti i ghiacci della Groenlandia non agevola un pensiero critico e realistico di quella che si annuncia una transizione caratterizzata più da rischi che opportunità, almeno per l’Europa. Così la pensa anche Flavio Tonelli, docente al Dipartimento di ingegneria meccanica, energetica, gestionale e dei trasporti dell’Università di Genova; è il professore ordinario di Ingegneria per la Sostenibilità Industriale e Impianti Meccanici che nel 2007 (cioè 15 anni fa) presentava a studenti e aziende le prime, preoccupanti, risultanze di studi raccolti sul tema nell’ambito di una collaborazione di ricerca con l’Università di Cranfield prima e con quella di Cambridge qualche anno dopo – insieme al collega Prof. Steve Evans (che a Cambridge dirige il Centro per la Sostenibilità Industriale). Lo abbiamo intervistato.
Leggi il testo dell’intervista a questo link
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