L’Intelligenza Artificiale è solo un’altra tecnologia?

Il modo con cui si analizzano e valutano gli eventi è sicuramente sensibile all’attuale momento storico. Quindi è naturale che attualmente si consideri l’Intelligenza Artificiale (IA) come una rivoluzione senza precedenti.  Si guarda al passato per trovare situazioni in cui l’umanità ha migliorato il proprio dominio sulla natura come ad esempio la scoperta del fuoco, del vapore, dell’elettricità, dell’elettronica o dell’energia atomica.

In tutti questi casi si sono avuti sia dei miglioramenti sensibili della qualità della vita sia degli impatti sull’economia e sulla società accompagnati spesso anche da crisi.  Un ottimismo storico porta molti a pensare che anche l’IA apporterà molti più benefici che compenseranno largamente i costi di adattamento.

Per iniziare a valutare questa posizione occorre provare a capire dove può arrivare l’IA. È in corso un dibattito tra chi sostiene che questa tecnologia è ancora lontana da emulare le capacità umane o chi teme che si possano sviluppare sistemi che comportino per l’umanità il rischio di estinzione o di sottomissione alle macchine.

Solo come esempio di questi lontani punti di vista c’è chi difende l’intelligenza matematica come fa Junaid Mubeen nell’omonimo libro descrivendo la molteplicità di approcci (immaginazione, rappresentazioni, collaborazione) che hanno portato agli attuali livelli la matematica e sostenendo che gli uomini hanno capacità peculiari irraggiungibili da sistemi di IA.

Ma c’è chi mette in guardia verso il veloce progresso che sembra stia portando al raggiungimento di sistemi dotati di Intelligenza Artificiale Forte (AGI) ovvero in grado di emulare e superare le capacità umane.

Restando sempre nel campo della matematica è stato messo a punto  un sistema in grado di risolvere brillantemente problemi di geometria con risultati confrontabili con i vincitori delle olimpiadi di matematica.

Questo dibattito sembra avere solo un interesse teorico ma aiuta a capire che le implicazioni dell’IA sull’economia e sulla società sono in ogni caso enormi.

Alcuni stimoli di riflessione sui pericoli che vanno considerati e sulle scelte che dobbiamo fare si trovano ad esempio nel libro Come l’intelligenza artificiale cambia il mondo scritto da Stefano Machera, un manager che più di trent’anni fa ha iniziato lavorando sui sistemi di IA.

Un primo punto di attenzione riguarda i diritti personali come il diritto alla privacy, alla protezione intellettuale, alla non discriminazione o peggio ai potenziali trattamenti giudiziari supportati dall’IA.

Ma è nel mondo del lavoro dove l’impatto sarà sicuramente devastante e, di conseguenza, ne risentirà il benessere individuale. La numerosità di professioni che saranno sostituite o comunque avvantaggiate dall’utilizzo dei sistemi di IA porterà a obsolescenza professionale e disoccupazione (vedi ad es. OCSE). Infatti diversamente dall’automazione messa in campo nei decenni passati dove sono stati sostituiti lavoratori che svolgevano lavori manuali (si pensi all’impiego dei robot nelle catene di montaggio o all’automazione dei lavori di ufficio più semplici) ora sono nel mirino le professioni più intellettuali, i cosiddetti colletti bianchi.

Se qualcuno nutre dei dubbi su quali professioni possano essere a rischio basta pensare alla lotta degli autori di Hollywood per definire dei limiti all’utilizzo dell’IA , conclusasi nell’ottobre scorso, che minacciava la loro categoria. E cosa dire dei programmatori SW? Già adesso i sistemi di IA generativa operano non solo con le diverse lingue ma sono in grado di produrre codice sorgente per calcolatori. Serviranno sicuramente più esperti di computer science, di data analyst, saranno create nuove professioni ma anche i nuovi lavori potrebbero diventare a rischio di sostituzione. Inoltre i lavori manuali pregiati potrebbero essere svolti da macchine se prende piede la cooperazione tra robot ed IA generativa come riportato con qualche ulteriore preoccupazione da Scientific American.

Gli ottimisti sostengono che in passato le perdite di occupazione sono state compensate da nuove professioni. Ma la situazione attuale sembra unica e per questo l’autore invita ad un pessimismo consapevole.

Il cambiamento del modo di produrre ha conseguenze anche per il benessere collettivo. Se si riduce il numero dei lavoratori, soprattutto di quelli attualmente meglio pagati, quali sono le conseguenze per le entrate dello stato? Attualmente buona parte delle entrate provengono dai lavoratori dipendenti (l’IRPEF vale il 38% del totale a cui sommare i contributi previdenziali) rispetto all’imposte sulle aziende (IRES vale circa 8%) quindi l’incremento del margine di una azienda che sostituisce un lavoratore con una tecnologia produce un saldo negativo per le casse dello stato. Inoltre minore occupazione implica un aggravio dei costi sociali.

Questi ed altri pericoli imminenti non vanno demonizzati ma trattati con le metodiche tipiche della gestione del rischio.  Occorre ripensare alcuni aspetti del nostro mondo.

Il primo riguarda la regolamentazione. Le normative esistenti come quella sulla privacy (GDPR) che è stata già utilizzata dal garante della privacy per contestare CHATGPT, o le leggi sul copyright mostrano la corda. Infatti i sistemi di IA non copiano dei testi ma li utilizzano, come farebbe un giornalista o uno studioso, ma ne traggono un indubbio vantaggio.

Comunque il contesto è totalmente nuovo e ben più ampio. Per questo che la UE sta promulgando il regolamento sull’utilizzo dell’ IA anche se esiste una difficoltà oggettiva di trovare un giusto contesto di organizzazioni sovranazionali per rendere operativa una tale normativa.

Il sistema economico attuale non reggerà senza interventi significativi. Si devono tassare i robot come sostiene da tempo Bill Gates? Il peso delle imposte va spostato dal lavoro al valore aggiunto? Ma il contesto internazionale è adeguato per applicare queste nuove regole fiscali alle imprese multinazionali?

Se si riesce a sistemare l’economia come intervenire sugli aspetti sociali? Pur avendo un contributo dello stato si riesce a vivere senza avere una prospettiva di lavoro?

Cosa ne sarà di chi pur avendo magari tutto quello che gli serve, forse anche il superfluo, non lavora? Oggi ad eccezione di una parte marginale della popolazione (intellettuali non occupati e benestanti) tutti si sentono chiedere che lavoro fai? O facevi? O peggio, pensi di fare in un mondo in cui la probabilità che sarai utile alla società è bassa? Adesso l’identità personale è costruita sulla base del lavoro che si svolge. Come e perché orientare e stimolare lo studio senza essere sicuri di una prospettiva lavorativa?

E per finire ricordiamoci che “L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro”.

Perché questo sia ancora vero nel futuro tutti noi, cittadini e politici, dobbiamo veramente lavorare molto, ora.

Claudio Gasbarrini

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