Lo stadio Italia
Ma il nostro paese è uno stadio? Si parla in questi giorni di “morte della Repubblica”, di resa dello Stato, di accordi con i capi ultras. Ma qualcuno ricorda che questo è il paese in cui ancora non sono stati individuati i responsabili delle stragi che hanno segnato gli anni ’70 e che in ognuna di esse sono risultati coinvolti gli apparati di sicurezza dello Stato? Qualcuno ricorda che in intere regioni il controllo del territorio, delle amministrazioni locali e regionali, della spesa pubblica, delle regole di convivenza è più delle organizzazioni affaristico criminali come mafia, camorra e ‘ndrangheta che dello Stato e che lo si è imposto a suon di omicidi e di attentati? E ci vogliamo stupire se le bande di teppisti camuffati da tifosi dettano legge dentro e nei dintorni dello stadio?
Il problema serio è che, se lo Stato è sentito come “cosa nostra” da gruppi di potere o ceti sociali che lo usano per i loro fini, diventa poi molto difficile diffondere e difendere una cultura civile e democratica. Quando si parla di ordine pubblico bisogna sapere che è fatto di due componenti: 1. L’accettazione di un modello di convivenza, delle sue regole e delle sue istituzioni; 2. Il controllo del territorio da parte di un’autorità riconosciuta come superiore a tutte le altre.
Detto in altre parole ci vogliono i cittadini che si sentono parte di una comunità e ne accettano le leggi e ci vogliono gli apparati dedicati a gestire il controllo del territorio e la sicurezza di tutti. Per questo motivo questi apparati sono gli unici autorizzati a gestire la “forza”, dispongono delle armi e sono autorizzati ad usarle a determinate condizioni. Se una di queste due condizioni viene a mancare la sicurezza di tutti è compromessa.
Pensiamo adesso a quanti gruppi organizzati sulla base della violazione delle regole agiscono sul territorio e pensiamo a come utilizzano la forza “militare”. La presenza degli ultras divenuti ormai veri specialisti della violenza di strada che migrano da una manifestazione estremista ad una partita di calcio mette seriamente in discussione sia la convivenza civile che il monopolio della “forza” che spetta allo Stato, ma limitatamente a quei momenti nei quali il teppismo si mette a giocare alla guerra. In quei momenti diventa fondamentale stroncare la loro “forza” e far prevalere quella dello Stato altrimenti i cittadini ricevono il messaggio che una banda violenta riesce sempre a prevalere. Non ci sono differenze tra i cosiddetti black bloc e gli ultras e vanno trattati tutti allo stesso modo cioè, tanto per essere chiari, con una repressione dura. Alla faccia dei tanti che discettano sulla risposta giusta da dare e sui problemi che sono sempre “ben altro” da quello che ragionevolmente bisogna fare. Chi gioca a fare la guerra alla polizia deve essere fermato. Punto.
La partita vera però si gioca negli altri momenti nei quali gruppi organizzati per la conquista e la gestione del potere impongono la loro legge che non solo nega quella approvata dalle istituzioni democratiche, ma ormai riesce a sostituirla con le leggi (e con l’azione amministrativa) realizzate dai propri rappresentanti politici più o meno regolarmente eletti.
Bisogna essere consapevoli che quando si legittima la prevalenza degli interessi particolari su quelli generali (e basta un appalto pilotato o una delibera comunale truccata per farlo) si compie sempre un atto che disgrega la convivenza civile e l’autorità delle istituzioni.
In tutti questi casi la democrazia si deve difendere e la repressione è l’altra faccia della battaglia culturale per far prevalere la maggioranza di quelli che la convivenza civile e il rispetto delle regole li vogliono. L’una senza l’altra non serve a nulla
C L
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