Poche luci troppe ombre: superare Berlusconi e il berlusconismo

Il lutto nazionale è un regalo postumo che la destra ha voluto fare all’uomo che l’ha unita e portata al governo. Un riconoscimento che tende a far nascere la leggenda del leader di tutti gli italiani ad uso e consumo di coloro che sperano di utilizzarla per consolidare il loro consenso. “Volere è potere” sembra quasi voler dire la destra al governo e noi possiamo.

Mettendo da un lato la simpatia umana che sapeva suscitare e riconoscendo l’empatia della quale sapeva dar prova sul Berlusconi personaggio pubblico non si può essere indifferenti e qualche parola va detta. In questi giorni sta andando in scena un dibattito abbastanza surreale perché prescinde dalla semplicità e dalla chiarezza con le quali Berlusconi ha sempre agito in politica e nella gestione delle sue imprese. Qualcuno esalta le sue doti di moderazione che hanno permesso di costituire governi di unità nazionale e di mantenere un saldo legame con le istituzioni europee. Si discute con accanimento sul carattere divisivo o meno del suo impegno politico.

Divisivo lo è stato fin dal suo esordio quando affermò che voleva salvare l’Italia dai comunisti. Lui ha cercato la contrapposizione per farsi spazio e per mettersi alla guida di un polo politico che nasceva all’insegna di quella grande finzione, ma che significava altro. Dopo la catastrofe di Tangentopoli qualcuno immaginava di ingessare l’Italia in un’armatura di rigorismo apolitico sorvegliato dalla magistratura. Un disegno assurdo che annullava la politica e che però fu spinto e sostenuto per molti anni e che ha lasciato tracce profonde nei rapporti tra poteri dello Stato e tra cittadini e magistratura. Berlusconi intuì che gli italiani, sfiduciati e disillusi, erano pronti a seguire un’altra strada e promise una rivoluzione liberale. Non una rivoluzione costruita a tavolino dagli intellettuali che accorsero a sostenere il berlusconismo nascente e che lui accolse facendo loro credere di contare qualcosa, ma basata su un messaggio molto semplice: liberatevi dai vincoli e dalle regole e abbiate fiducia nei vostri interessi. Il messaggio fu raccolto con entusiasmo. Nella confusione generale i vecchi partiti caddero uno dopo l’altro e i nuovi tentavano una loro strada alla ricerca di una qualsiasi identità che mettesse insieme diverse opzioni culturali. Il PD che ancora adesso non ha deciso cosa essere, dimostra benissimo la profondità di quel travaglio.

Il messaggio berlusconiano invece era chiaro e affascinante per la stragrande maggioranza alla quale lui voleva parlare (qualcuno ha ricordato la distinzione che fece tra il 10% di “intelligenti” e il 90% ai quali si rivolgeva). Chi analizza oggi il percorso di Berlusconi cercando raffinati disegni strategici dimentica proprio la sua semplicità. Anche chi loda alcune scelte più moderate non può ignorare che la moderazione non fu affatto il criterio che guidò Berlusconi nella sua azione politica. Fu moderato quando convenne a lui esserlo e comprese che l’aggancio all’Europa e l’alleanza con gli Usa erano la condizione per avere quella stabilità che manteneva lui a capo del polo di centrodestra e che faceva prosperare i suoi affari e, quindi, la ricchezza che erano le basi sulle quali poggiava il suo potere e il fascino che esercitava sugli italiani.

Fu populista perché era l’unico modo per togliersi di torno l’impiccio delle mediazioni, dei riti di partito e delle procedure democratiche. Il consenso spettava a lui direttamente e non accettava che altri si frapponessero tra lui e il popolo. Ci tenne sempre a non presentarsi come leader politico, ma come imprenditore cioè “uomo del fare”. Comprese che gli italiani erano stufi di formule politiche, di prese in giro dei partiti e di retorica. Tentò di introdurre riforme di sistema, ma non ne fece il cuore del suo impegno politico perché il suo orizzonte era sempre centrato sulle sue vicende personali.

Alla conclusione della sua vita la domanda che è giusto porsi è una sola: ha reso l’Italia migliore? La risposta è no. No perché l’esempio è forse il lascito più grande di uno statista e di un leader. E il suo esempio è stato quello di liberare le energie individuali senza badare alla correttezza e alle regole. Ha spinto ancor più gli italiani ad essere faziosi per poter dividere l’Italia e porsi a capo della fazione vincente. Li ha legati alla sua persona atteggiandosi a monarca illuminato che tutto può grazie alla sua ricchezza. Ha promosso una classe dirigente senz’altra scuola e formazione che il suo personale gradimento. Ha dimostrato che ciò che conta è il potere personale e che questo è forte se si basa sul potere dei soldi perché con questi si possono comprare consensi e persone (come è stato giustamente ricordato: dai senatori, ai giudici, alle minorenni). Nel campo della politica internazionale ha seguito gli stessi criteri: europeista perché gli conveniva, ma vicino a Putin per simpatia culturale e per concreti interessi (ancora non esplorati a sufficienza). Il suo incredibile disprezzo per la causa della libertà dell’Ucraina ha rivelato quale fosse la sua vera ispirazione la sua vera visione del mondo.

Quali sono dunque i suoi meriti? Dicono tutti: il bipolarismo, le televisioni commerciali e le squadre di calcio. Mettendo da parte il calcio che qui non interessa, sul bipolarismo bisogna dire che quello creato da Berlusconi era basato sull’esasperazione delle tifoserie finalizzata al suo successo personale. Il bipolarismo che si è affermato in questi trent’anni richiede leader che cerchino un rapporto diretto con il popolo e, quindi, inevitabilmente populisti. Un bipolarismo tanto esaltato anche da sinistra, ma che spinge ad una versione caricaturale dei due poli che schiaccia le posizioni più ragionevoli, quelle che cercano la mediazione e, ancor prima, la comprensione delle ragioni degli altri. Non a caso da questo bipolarismo è rimasta danneggiata la sinistra che, muovendosi più su schemi idealistici che su interessi concreti, si è avviluppata in una estenuante ricerca intellettualistica di una formula identitaria. La destra, che si appella agli interessi concreti degli elettori, è sempre riuscita a trovare un compromesso.

Sulle televisioni commerciali c’è da dire che Berlusconi ha fondato una nuova cultura popolare con una mediazione al ribasso (lui disse che il suo pubblico aveva l’intelligenza di un ragazzino di 12 anni e pure poco sveglio) facendo leva sugli istinti e sulle pulsioni che prima di lui non dovevano essere esibiti in tv (dagli spogliarelli delle donne comuni a Drive In e Colpo grosso).

Sulla sua vita privata si è detto pure troppo, ma fu quella di un monarca esibizionista che non voleva nascondere nulla né della sua ricchezza né delle sue scelte di vita perché quelle erano le basi del fascino che esercitava sui suoi elettori, della simpatia che suscitava e della voglia di imitazione.

Non ci sono dubbi: per essere migliore l’Italia deve superare Berlusconi e il berlusconismo

Claudio Lombardi

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Fornisci il tuo contributo!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *