Un Ferragosto di incertezza e di preoccupazione
Ferragosto: tempo di vacanze, di ozio, di leggerezza. Dovrebbe essere così e vogliamo che sia così anche se le cose non vanno per niente bene. Dovunque si guardi c’è qualche motivo per essere preoccupati. Di cosa vogliamo parlare? Dell’economia? Beh il ritorno della crescita zero è una mazzata, non si può non dirlo. La pioggia di soldi messi in circolo dalla Bce con i conseguenti risparmi di interessi sul debito pubblico e con le banche rifornite di finanziamenti a costo zero non è bastata a far ripartire le attività produttive. Nemmeno i vari 80 euro e taglio dell’Imu ci sono riusciti. Sicuramente senza questi provvedimenti sarebbe andata peggio o, forse, ci voleva qualcosa di diverso. Ma le bacchette magiche non esistono e nemmeno i miracoli. E poi non è che sia tutto negativo perché il settore delle esportazioni regge eppure non basta. In epoca di globalizzazione sta a galla non solo chi ha buoni prodotti da vendere, ma anche chi riesce a fare qualcosa in più degli altri e a migliorare la produttività complessiva. Non si tratta solo del rapporto tra costo di ciò che è necessario per produrre e valore che ne esce, ma anche di ciò che un sistema economico, sociale e istituzionale riesce a produrre con le risorse di cui dispone. Da questo punto di vista l’Italia è messa male come chiunque può constatare raffrontando lo stato del Paese con il livello della tassazione e l’ammontare del debito pubblico.
Lo spreco di denaro pubblico che non produce risultati e che distrugge risorse da noi raggiunge livelli molto elevati e produce una generale inefficienza del sistema. Il catalogo degli sprechi (si dice sprechi ma dentro ci sta di tutto mafie, corruzione e ruberie incluse) è più lungo di quello delle donne conquistate da Don Giovanni ed è inutile provare ad elencarne le varie tipologie. Basti dire che lì sta la storia del debito pubblico, il macigno che non riusciremo mai a toglierci di dosso. Nulla possiamo fare se non a debito. D’altra parte anche la cosiddetta flessibilità chiesta all’Europa non è altro che un aumento del debito. E anche chi vuole uscire dall’euro per tornare alla lira pensa di poter più liberamente giocare sul debito e sulla svalutazione come se fossimo fermi al boom economico di inizio anni ’50 e come se la globalizzazione non esistesse.
Ora, è logico che il debito si possa fare per investire cioè per aumentare il valore del sistema Italia. Per esempio un restauro a tappeto di tutti i beni archeologici e artistici finalizzato non solo alla salvaguardia, ma anche alla loro valorizzazione (= visite = turismo = biglietti da pagare = indotto = posti di lavoro) è un investimento. Anche la sistemazione del territorio per prevenire frane e altri disastri è un investimento. Ma quando il debito ha bisogno di essere rinnovato anno per anno nella misura di 400 miliardi (o giù di lì) è chiaro che serve per pagare stipendi, pensioni e servizi cioè per la spesa corrente. Ma anche quando si spende per opere pubbliche spesso si spende moltissimo ed anche piuttosto inutilmente come accade con la metro C di Roma per esempio. Il risultato è che ci si stringe ancor più il cappio al collo. È debito anche quando si permette un’evasione fiscale che dura da tempo immemorabile e che viene “limata”, ma non eliminata perché i soldi che non entrano nel bilancio si devono sostituire tartassando quelli che pagano le imposte e prendendoli in prestito. Insomma il crocevia di tutto è lo Stato, ciò che entra, ma soprattutto l’enorme spesa pubblica dalla quale dipende più di metà dell’economia. Lì è il potere dei soldi e la lotta per il controllo dei soldi è la sostanza della lotta politica e sociale in Italia. Chi dà e chi prende.
E non pensiamo che la cosa riguardi solo chi se ne approfitta: tutti stiamo dentro questo meccanismo di distribuzione. Qualcuno prende di più e da’ meno e altri danno tanto e prendono poco. Ecco perché diventa importante il come e il chi: come si prendono le decisioni e a chi attribuire le responsabilità. La cosa peggiore è l’opacità dei meccanismi istituzionali nei quali tutti sono responsabili e nessuno lo è perché la regola è la distribuzione delle risorse per tenere a bada le tensioni e acquisire consenso possibilmente facendo passare per favore ciò che dovrebbe essere una chiara scelta politica e amministrativa. Le pensioni di invalidità finte distribuite come ammortizzatore sociale in passato soprattutto al sud qualcosa dovrebbero averci insegnato. Il discorso sulla politica e sulle riforme istituzionali sta dentro questa cornice.
I motivi di preoccupazione sono dunque tanti anche senza pensare che una guerra vera si sta svolgendo nel mondo dell’Islam (giusto sull’altra sponda del Mediterraneo) e che le sue conseguenze le paghiamo anche noi con il terrorismo, con migrazioni che possono destabilizzarci e con una difficile convivenza tra milioni di persone che vivono in Europa e che guardano al mondo islamico per trovare una loro identità. Può sembrare strano, ma la guerra esalta questa ricerca perché semplifica questioni complesse e spinge ad annullare i dubbi e le distinzioni per schierarsi da una parte o dall’altra. Ma sempre del mondo islamico perché l’Occidente appare in crisi e incapace di mobilitare le opinioni pubbliche per difendere ed esaltare i valori che sono posti a fondamento delle nostre società. Libertà, autonomia dell’individuo, parità tra uomini e donne, laicità dello Stato, democrazia non affascinano forse nemmeno noi che ci siamo nati e che non abbiamo combattuto per conquistarle. Figuriamoci chi è abituato a riconoscere la superiorità di un dio. C’è poco da stare rilassati in questo Ferragosto
Claudio Lombardi
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