Un’Europa modello di libertà e solidarietà
Stralci dal discorso di Emmanuel Macron al Parlamento europeo il 19 gennaio 2022.
La nostra costruzione europea, si fonda su tre grandi promesse. Una promessa di democrazia, nata nel nostro continente, reinventata, rifondata sempre nel nostro continente e ravvivata negli ultimi 70 anni. Una promessa di progresso condivisa da tutti e una promessa di pace. (…) Il periodo che stiamo attraversando, scombussola queste tre promesse. Ritengo che la sfida che dobbiamo affrontare è cercare di rispondervi, e non solo nei prossimi mesi. Il compito della nostra generazione è la rifondazione di queste promesse.
La democrazia liberale nel senso politico del termine, questo regime che l’Europa ha inventato, negli ultimi anni appare incapace di affrontare le grandi sfide del secolo. In questi ultimi mesi la gestione della pandemia da parte delle democrazie, con un dibattito parlamentare, una stampa libera, centri accademici e di ricerca liberi e aperti, ha portato a decisioni più protettive delle vite e delle economie rispetto a quelle dei regimi autoritari.
Dobbiamo lottare per lo stato di diritto, per questa semplice idea che ci siano diritti umani universali che devono essere protetti dalle febbri della storia e dei loro dirigenti. Oggi si alzano voci che chiedono di rivedere i nostri grandi testi fondamentali, tuttavia decisi sovranamente dagli Stati membri al momento della loro adesione. Ma cosa andrebbe rivisto? L’uguaglianza degli uomini in termini di dignità e di diritti? Il diritto di tutti di ricevere un giudizio equo da parte di una magistratura indipendente? Sembra farsi avanti l’idea che per essere più efficienti va ripensato lo stato di diritto. Ma la fine dello stato di diritto è il regno dell’arbitrarietà. La fine dello stato di diritto porta ad un ritorno ai regimi autoritari. Si tratta però di una battaglia ideologica. Questa battaglia è portata avanti da diverse potenze autoritarie alle nostre frontiere e ritorna in diversi nostri paesi. Assistiamo a questo tentativo in corso, che mina le fondamenta stesse della nostra storia. Lo stato di diritto non è un’invenzione di Bruxelles. No, è il frutto delle storie di tutti noi, delle battaglie e delle rivoluzioni volte a liberarci dal peso dei totalitarismi del secolo scorso. Lo stato di diritto è il nostro tesoro. E si tratta ovunque di riconquistare i popoli che se ne sono allontanati.
Vorrei che rafforzassimo i nostri valori di europei. Questa peculiarità a cui mi riferisco è anche un legame con la solidarietà che è unico al mondo. Le nostre società sono uniche in quanto, oltre allo stato sociale, hanno inventato un sistema di protezione per tutti per fare fronte ai rischi della vita. È un’eredità delle nostre democrazie europee. E questa pandemia ha dimostrato che la solidarietà, invece di essere una debolezza, è una forza incomparabile.
È la solidarietà che ci ha permesso di salvare vite e proteggere posti di lavoro negli ultimi due anni. È la solidarietà che ci ha permesso di possedere un vaccino per tutti noi europei. È lo spirito di solidarietà che ci ha portato, in quanto europei, ad essere i più aperti al mondo, in termini di esportazioni e donazioni.
Quello che ci lega è la particolarità di questa promessa democratica europea. Cosa significa essere europei? È provare la stessa emozione di fronte ai nostri tesori, frutto del nostro patrimonio e della nostra storia. Significa anche avere una civiltà comune, un modo di stare al mondo, dai nostri caffè ai nostri musei, che è senza paragoni. Questa arte fa parte della nostra peculiarità nonostante le tante differenze.
La seconda promessa che ho evocato è la promessa di progresso. L’Europa non ha mai pensato di doversi limitare a preservare la comodità dello status quo. Ci siamo costruiti sul desiderio di creare una crescita economica, un modello per il futuro con la possibilità per le nostre classi lavoratrici e medie di poter raccogliere i benefici di questo progresso. Gli ultimi anni hanno indebolito questa promessa. Le crescenti disuguaglianze, la de-industrializzazione e le nuove sfide come il clima e le sfide digitali hanno piombato nel dubbio il nostro continente. La nostra sfida è dunque di costruire un modello originale che affronti le grandi questioni del secolo. Un modello per il futuro che ci permetta di mantenere ancora una volta questa promessa di progresso. Il clima è la prima di queste sfide. L’Europa è il luogo in cui, a Parigi nel 2015, è nata una coscienza climatica universale. È il continente che, con l’obiettivo della neutralità del carbonio nel 2050, si è posto gli obiettivi più ambiziosi del pianeta.
D’ora in poi, dobbiamo passare ai fatti. Trasformare le nostre industrie, investire nelle tecnologie del futuro, che siano batterie o idrogeno. Incoraggiare tutti gli attori del nostro paese e del mondo intero a rispondere all’esigenza ecologica. Questo è il vero significato del meccanismo di adeguamento del carbonio alla frontiera che stiamo aspettando da anni. È anche il significato delle misure specchio degli accordi commerciali che difendiamo. È anche il significato dei negoziati volti ad adottare la prima legge al mondo contro la deforestazione importata.
La seconda sfida del secolo è la rivoluzione digitale. Ci sono due sfide. La prima è quella di costruire un vero mercato unico digitale che permetta la creazione di campioni europei. Si tratta di consolidare un’Europa che sappia finanziare i suoi campioni e semplificare le sue leggi per costruire un vero mercato unico, ovvero un mercato interno dalle proporzioni colossali. Al tempo stesso, si tratta di un’Europa che sappia come inquadrare gli attori digitali proprio per preservare lo spirito dell’illuminismo, ovvero proteggere i nostri diritti, le nostre libertà e il rispetto della nostra vita privata.
La terza sfida è quella della nostra sicurezza. Questa promessa di progresso futuro vale solo se, di fronte al disordine geopolitico, alla minaccia del terrorismo, agli attacchi informatici, all’immigrazione illegale e a questi grandi tempi di turbolenza, dimostriamo di saper rispondere. E di fronte a questo ritorno del carattere tragico nella storia, l’Europa deve essere armata, non per sfidare le altre potenze, no, ma per garantire la sua indipendenza in questo mondo di violenza, per non essere sottomessa alle scelte altrui. Per essere libera. Innanzitutto, per recuperare il controllo delle nostre frontiere e del nostro spazio. Vogliamo proteggere le nostre frontiere esterne, anche sviluppando una forza di intervento rapido intergovernativa. Desideriamo mettere in atto un’accoglienza condivisa e solidale tra gli Stati membri, come è stato fatto tra il 2018 e il 2021. Vogliamo costruire partenariati con i paesi d’origine e di transito per combattere le reti di trafficanti e rendere efficace la nostra politica di rimpatrio. In sostanza, costruire una politica più efficace, ma che rispetti i nostri principi, per combattere l’immigrazione illegale.
Infine, per quanto riguarda la difesa, non ci possiamo accontentare semplicemente di reagire alle crisi internazionali. Occorre la definizione di una nostra propria dottrina di sicurezza, complementare a quella della NATO, anche attraverso una reale strategia industriale, di difesa e d’indipendenza tecnologica senza la quale questa Europa della difesa non avrebbe né senso né realtà. Si tratta di ripristinare insieme un’Europa ‘potenza del futuro’, ovvero un’Europa in grado di rispondere alle sfide climatiche, tecnologiche, digitali ma anche geopolitiche, un’Europa indipendente che si dia ancora le capacità di decidere per se stessa il proprio futuro e di non dipendere dalle scelte di altre grandi potenze.
Infine ho evocato la promessa della pace. La nostra Europa di oggi si confronta con un’escalation delle tensioni, in particolare nel nostro vicinato, con un ritorno alla tragicità della guerra. Eppure il nostro modello, diffuso oltre i nostri confini, ha oggi la responsabilità di costruire una vera potenza d’equilibrio.
L’Europa ha il dovere di proporre una nuova alleanza al continente africano. I destini delle due sponde del Mediterraneo sono legati e d’altronde non possiamo affrontare con dignità la questione delle migrazioni senza trattarne le cause profonde, e parlare del nostro destino comune insieme al continente africano. E’ in Africa che si gioca buon parte dello sconvolgimento del mondo, una parte del futuro di questo continente e dei suoi giovani, ma anche del nostro futuro. Nei prossimi mesi dobbiamo raggiungere un nuovo traguardo, reinventare una nuova alleanza col continente. Innanzitutto attraverso un New Deal economico e finanziario con l’Africa, con un’agenda nei settori dell’istruzione, della sanità e dell’ambiente e per lo sviluppo del continente. E attraverso un’agenda di sicurezza grazie anche al supporto europeo agli Stati africani che si misurano con l’aumento del terrorismo. Infine, lottando contro l’immigrazione irregolare e le reti di trafficanti di persone per favorire i flussi legati alle alleanze culturali, accademiche ed economiche.
L’Europa non può continuare a non considerare i Balcani occidentali che sono al centro del continente europeo, tanto per la loro posizione geografica che per la loro storia, tanto per la tragedia che hanno incarnato che per la promessa di futuro che racchiudono. Portano cicatrici che ci ricordano sia la precarietà della pace che la forza della nostra unione. Per questo, anche qui, la nostra vocazione oggi è quella di ripensare il nostro rapporto con i paesi dei Balcani occidentali e di fornire loro, in modo più chiaro, trasparente e proattivo, prospettive sincere di adesione. Un’adesione costruttiva, progettuale, inscritta in un lasso di tempo ragionevole.
Sappiamo che l’Europa attuale, con le sue regole di funzionamento, non può diventare un’Europa di 31, 32 o 33 Stati, non è possibile, mentiremmo a noi stessi. Dobbiamo quindi ripensare in profondità le nostre regole per renderle più chiare, più trasparenti, per poter prendere le decisioni più rapidamente e con maggiore forza. Dobbiamo quindi reinventare sia le regole di funzionamento che la geografia della nostra Europa. Ecco perché la Conferenza sul futuro dell’Europa dovrà essere seguita da una conferenza sui Balcani occidentali, organizzata subito dopo, che sarà l’occasione per affrontare questa questione cruciale.
In terzo luogo, l’Europa e il Regno Unito devono inoltre ritrovare la strada della fiducia. Niente metterà mai in discussione il legame di amicizia che ci lega al popolo britannico. La nostra intesa nella difesa della democrazia liberale, della libertà, del progresso economico e sociale è troppo radicata, troppo antica. Ma continuare a seguire questo percorso comune dopo la Brexit richiede che il governo britannico si impegni in buona fede a rispettare gli accordi presi con la nostra Unione e che quest’ultima faccia rispettare con chiarezza gli impegni presi.
L’Europa deve finalmente costruire un ordine di sicurezza collettiva sul nostro continente. La sicurezza del nostro continente richiede un riarmo strategico della nostra Europa come potenza di pace e di equilibrio, in particolare nel dialogo con la Russia. Sono diversi anni che sostengo questo dialogo. Non si tratta solo di un’opzione, sia perché la nostra storia e la nostra geografia sono ostinate, per noi come per la Russia, sia perchè la sicurezza del nostro continente è indivisibile. Quello che dobbiamo costruire è un ordine europeo basato su principi e regole a cui aderiamo e che abbiamo concordato non contro né senza, ma con la Russia, ormai 30 anni fa. E vorrei ricordarli qui. Il rifiuto del ricorso all’utilizzo della forza, alle minacce, alla coercizione, la libera scelta degli Stati di partecipare a organizzazioni, alleanze e accordi di sicurezza di loro scelta, l’inviolabilità delle frontiere, l’integrità territoriale degli Stati, il rifiuto delle sfere di influenza. Ciò di cui sto parlando sono i principi che noi europei, e la Russia, abbiamo sottoscritto 30 anni fa. Spetta a noi europei difendere questi principi e questi diritti inerenti alla sovranità degli Stati.
Questo è anche il motivo per cui faremo in modo che l’Europa faccia sentire la sua voce compatta e forte sulla questione degli armamenti strategici, del controllo delle armi convenzionali, della trasparenza delle attività militari e del rispetto della sovranità di tutti gli Stati europei, qualunque sia la loro storia. Queste prossime settimane devono condurci ad una proposta europea di successo che abbia l’obiettivo di costruire un nuovo ordine per la sicurezza e la stabilità. Dobbiamo costruirlo tra europei, per condividerlo poi con i nostri alleati nell’ambito della NATO. E proporlo, infine, alla Russia per un negoziato.
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