Virginia Raggi nel pallone. Falsi in partenza
Quello che sta registrando a Roma la sindaca Virginia Raggi, e con lei il M5s, non è semplicemente una falsa partenza. E’ qualcosa di più che chiama in causa la constituency, per così dire, di questa formazione politica, le sue ambiguità e anche i suoi miti fondativi, al di là delle particolarità romane del gruppo dirigente del Movimento grillino che nel guazzabuglio capitolino ci hanno messo parecchio del loro. Com’è noto le ambiguità politiche e i miti, in senso positivo, dell’onestà e della trasparenza hanno fatto sì, e lo fanno ancora, che il M5s possa, quando sta all’opposizione, occupare uno spazio politico elettoralmente molto trasversale, essenzialmente costituito dalla raccolta delle insoddisfazioni, indignazioni e profonda sfiducia nei partiti del più tradizionale schieramento politico di destra e di sinistra che, a veder bene, sono stati i veri partorienti dei grillini. Quando però gli capita di diventare forza di governo allora queste ambiguità e una certa estremizzazione dei miti fondativi vengono messi alla prova. E allora sono dolori. Più o meno acuti perché non tutte le situazioni sono uguali e la sconcertante, per rapida inanità dimostrata, vicenda romana non è simile a quella torinese dove la sindaca Appendino e il M5s, almeno finora, hanno dimostrato una certa apprezzata diversità dai loro colleghi capitolini.
Se fino a qualche giorno fa i più benevoli di fronte all’anfanante composizione della giunta e poi alle dimissioni di alcuni assessori chiave potevano parlare di falsa partenza, ora la vicenda dell’assessore Muraro diventa un acuto dentro una sinfonia già sgangherata. Perché è uno scivolone sul terreno privilegiato del M5s: quello della trasparenza e della sincerità. Ma già prima, nella contorta vicenda degli assessori e dell’amministratore unico dell’Ama, appena nominato, che se ne vanno in blocco, si era sentito ad abundantiam un tintinnar di sciabole fra cordate interne al Movimento romano di cui però non era facile, almeno per chi non sta dentro i loro meccanismi e contrasti, comprendere i termini politici. E questa indecifrabilità, se si vuole parlare di trasparenza, la dice lunga sulla fragilità politica dei grillini perché i contrasti se non sono primariamente di natura politica allora sono di solo potere e ciò non può essere rubricato come una diversità dagli altri partiti che per la verità sono anche più capaci a mascherare le loro guerricciole interne con infiocchettamenti politici. Del tutto risibile, poi, è apparso il tentativo di occultare le proprie incapacità chiamando in causa l’ostilità dei “poteri forti”, che pure c’è ma che con gli autogol dei vari direttòri, della Sindaca Raggi e del suo cosiddetto “cerchio magico” non c’entra nulla, essendo tutta farina del loro sacco.
La questione Muraro, con le bugie che l’hanno contornata sul suo essere indagata dalla Magistratura, più che una “falsa partenza” ha configurato dei “falsi in partenza”. Può darsi, per ipotizzare una spiegazione ai complessivi accadimenti, che al fondo di tutto ci sia l’emergere da subito e dirompente di una contraddizione politica altre volte verificatasi in altre circostanze, in altre città e con altri attori politici. Cioè la contraddizione fra il sindaco eletto dai cittadini e il suo stesso partito o parti di esso che ritengono di dover essere in diritto di sovrastare l’eletto nel determinare le scelte di uomini e donne per comporre giunta e amministratori di aziende municipalizzate particolarmente importanti come Atac e Ama. In sostanza si tratterebbe del contrasto fra chi sostiene che la vittoria elettorale a Roma più che alla candidata Raggi la si debba al M5s. Può anche darsi che tutto ciò si sia aggiunto a vecchi contrasti personali e anche all’emergere dentro il Movimento grillino della stessa candidatura poi vittoriosa della Raggi. Sta di fatto, compreso il tentativo positivo di dotarsi di una squadra di amministratori competenti ricavati dalla società civile e non solo pura espressione dei militanti pentastellati, che i grillini romani e nazionali non sono stati finora in grado di comporre le diverse istanze ed esigenze politiche e invece di una sintesi virtuosa hanno dato luogo a una deflagrazione perniciosa sia per le loro ambizioni politiche di governo nazionali che per la capitale d’Italia.
Ma al fondo della fragilità politica del M5S c’è qualcosa di più e di più corposo. Non solo l’inesperienza e le ingenuità di una formazione politica recente, i suoi incerti e confusi procedimenti decisionali interni. C’è la mancanza di una cultura critica della realtà che non rimanga alla superficie degli epifenomeni sociali e politici ma sia in grado di scavare dentro la società, nei rapporti economici, sociali e di classe all’origine di quegli epifenomeni: le disuguaglianze e le ingiustizie sociali, oltre alla corruzione diffusa e alla disonestà nel corpo sociale e in quello politico. Senza questa cultura, senza questa sorta di weltanschauung, e senza l’ancoraggio organico conseguente ai soggetti soccombenti nei rapporti di classe, sociali e politici, si rischia di non avere una struttura politica e gruppi dirigenti selezionati sulla base della capacità tecnica e politica, ora affidata alla casualità delle conoscenze personali o dei curricula, in grado di assolvere con successo ai problemi immani del governo di una città come Roma e, ancor più, di una Nazione come l’Italia. In definitiva quello che segnala la negativa vicenda romana al M5s non è cosa da poco: è la necessità di passare in fretta, e non solo a Roma, dal primitivo e inevitabile antagonismo alla fase dell’egemonia. Vasto programma.
Aldo Pirone
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