Dialogo tra “sordi e sòrdi”: apologo sul presente (di Michele Pizzuti)

Donne, è arrivato l’ombrellaro. Arrotino. Avvicinatevi co’ fiducia, è arrivato il robivecchio. Svuoto cantine, ritiro metalli, pulisco soffitte. Donne, avvicinatevi co’ fiducia. Stracci e cartoni, tutto quello che non ve serve più lo prendo io. Ombrellaro… Spazzacamino…”

– Ehi, buon uomo… – Era una signora elegante quella che gli fece un cenno. E in perfetto italiano aggiunse con un sorriso forse un po’ affettato: – Robivecchi, robivecchi, prende davvero tutto?

L’ombrellaio si avvicinò rapidamente ad essa: – Sissignora, ce penso io, prendo tutto.

La signora, indicando un corpo semivestito lì a terra, miagolò: – Ecco, prego prenda questo, allora. Può tenerlo per un po’ e ripararlo?

L’uomo guardò meglio quel corpo e si sorprese: – Ma che è? Sembra un cadavere. Ho detto che prenno e riparo tutto signò, ma no i morti.

– Lo so, buon uomo, lo so. Ma se lo prende, potrebbe rimetterlo in forma? Fra tre mesi me lo riconsegna. Fra tre mesi, sino alle elezioni anticipate.

– Che? Devo tenerlo pe’ tre mesi e poi glielo riporto? Sta scherzà, signò? Elezioni? E che c’entro io co’ le elezioni e coi morti? Io so’ ombrellaro mica cassamortaro.

La signora però continuò a insistere: – Lo prenda. Lo aggiusti. Le persone come me le pagheranno il necessario. Quel corpo è’ un bene comune. Non lo faccia definitivamente morire. Altrimenti la colpa ricadrà su di lei. Come anche le ricadute del decesso. Compia un atto di solidarietà civile, politica, suvvia…

Al “suvvia”, il cadavere ebbe come una scossa. Un brivido. Di agitazione. Di ansia. E mosse le labbra, impercettibilmente.

– Signora, a signò… ma ‘sto cadavere non è morto, è moribondo. Anzi me pare vivo! Sta a parlà.

– Per questo ho chiesto il suo qualificato intervento. Per fare in modo che non muoia. Io… noi, stiamo lavorando per un’alleanza strategica contro il comune nemico…

L’ombrellaio però non l’ascoltava. Incuriosito avvicinò il suo orecchio al corpo di quel vecchio signore, alla sua bocca. Dalla quale a malapena uscì un sibilo: “Aiutatemi, qualcuno mi aiuti (la voce era fioca). Sono alla frutta. Digerita la democrazia non mi è rimasto più nulla nello stomaco. Solo avanzi di un governo tecnico, di transizione. E poche briciole per una nuova legge elettorale. Tutti mi fanno vedere i menù, ma nessuno mi sfama. Ho fame, fame di riforme”.

La signora un po’ scocciata si rivolse al robivecchi e cercò complicità: – Vede buon uomo, ecco perché vorremmo ripararlo. Appena si apre un barlume di speranza (la sua venuta qui, caro il mio ombrellaio), questo corpo prima si illumina, poi si agita e infine si lamenta. Ogni giorno ne ha una: il conflitto di interessi, le leggi ad personam, il parlamento bloccato, la libertà di stampa, lo sfregio della democrazia e i PM, il sistema elettorale, il…

– Signora mia bella, ma io che c’entro? Mica c’ho capito gnente de quello che sta a dì. Ma chi è ‘sto signore? Insomma ‘sto corpo, sta crepato o no?

– Lo so, lo so che per lei è difficile capire. Lei è un intellettuale di base, un operatore del fare. Si affidi agli intellettuali del sapere. Si fidi di noi. Quel morto-non morto, che sussurra ai lavoratori come lei, è una allegoria. E’ un simbolo virtuale del degrado di questa società. Delle speranze disilluse. Della vittoria del denaro sui valori. E’ un moribondo che ci piacerebbe rianimare anche col contributo di quelli come lei, quelli con le mani sporche si, ma di lavoro.

– Signò la prego: me lasci perde. Io le “legorie” non le compro. Al massimo le vendo. E non me chieda contributi che già c’ho tante spese. E che vor dì “vittoria del denaro sui valori”? Pure i valori valgono come “i sòrdi”, no?

– Ah, si i valori. I valori aggiunti… Le risorse… Lei pensava al denaro, vero? Io invece parlavo di concetti, di etica, di valori morali. Vabbene, buon uomo, se non pensa di farcela lasci perdere. Sappia però che sarà anche peggio per lei.

– Ecco, sì, lassamo perde. Ma guarda ‘n pò che me doveva capità oggi. Pure un cadavere. “Donne, è arrivato l’ombrellaio. E l’arrotino. Avvicinatevi con fiducia, è arrivato il robivecchio. Svuoto cantine, ritiro metalli, pulisco soffitte” – La voce allontanandosi si affievolì e l’ombrellaio si perse nella indefinita massa, sbattendo tra i richiami del grande centro moderato (ma disinteressato a riparare ombrelli) e la Lega, attenta ai camini e alle imprese artigiane molto di più che non il sindacato o la CGIL.

Contemporaneamente anche i gemiti del vecchio corpo, ancora steso sul marciapiede, sembrarono spegnersi.

La signora si mise a posto i capelli. Una passata di rossetto sulle labbra e rapidamente infilò lo stick nella borsa Prada: – Peggio per lui, è nato ombrellaio e ombrellaio finirà. – Poi diede un’ultima occhiata a quel corpo: – Peggio anche per te, stupido “Corpo elettorale del Paese” che non sei altro. Conservatore sei nato e conservatore morirai.

La signora si infilò il soprabito di Max Mara e si incamminò veloce verso il fondo della strada, sbattendo tra i richiami del grande centro moderato e di un PD addormentato e incerto se muoversi verso il riformismo, Di Pietro o Futuro e Libertà.

“Il Corpo elettorale del Paese” invece, quello stupido corpo rimasto a terra – né vivo né crepato, né reale né virtuale – era davvero a terra. Steso su quel marciapiede capì subito che anche quella non sarebbe stata la giornata della rivoluzione. Diamine, anche stavolta l’alleanza tra le due grandi aggregazioni marxiste, quella operaia e quella intellettuale, era fallita. Proletari e borghesia avevano intrapreso strade diverse. Come sempre. E per colpa loro, quel corpo, continuerà a digiunare ancora per molto.

  Michele Pizzuti psicologo

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