L’etica della strada e l’etica della politica (di Michele Pizzuti)
“Mannaggia… E te pareva! La giacca ritirata dar tintore stamattina e me tocca già riportajela stasera… A pischè, proprio qui in mezzo alla strada dovevi venì a giocà? Ah, fossi io tu padre, sai le pizze…?”
Il pallone sporco di fango lo aveva colpito in piena schiena, mentre camminava lì, per quella via addormentata della periferia sud di Roma, quella che odora di cellulosa, di Cinecittà.
Il moccioso non ci mise molto a reagire: “E’ stato mi padre che m’ha detto d’annà a giocà fori. E poi… a nonnè, ma dovevi venì a passeggià proprio qui? Potevi stattene a casa, no? Ah, se fossi io tu fijo, sai le pallonate”. Svelto come un gatto “il pischello”.
Da questa scenetta inventata mi pongo la prima domanda: ci sono ancora ragazzi che giocano a pallone nella strada? E, visto che sembra che non ce ne siano più molti, ciò è un bene o un male?
Sicuramente il cuore ci fa tifare per il pischello (una pallonata? E che vuoi che sia!) ma il nonnetto apre uno scorcio verso l’altra annosa questione: i genitori sono ancora protagonisti del processo educativo dei loro figli? E la scuola dov’è? Liquida, solida o evanescente? Ed infine, la TV, i media, i social network sono un motore dell’evoluzione della società, generatori di conflitti o, peggio, compartecipi del “degrado”? Come la metti la metti, le controparti sono sempre le stesse. Educazione e strada. Genitori e figli. Indisciplina e regole. Diritti e doveri. Singolo e collettività. Speranze e disillusioni. Fiducia e disincanto. Cittadini e istituzioni. Etica.
Non ho certo l’intenzione di dare risposte a quesiti che per loro natura intrinseca “non hanno risposta”, ma un paio di questioni le voglio affrontare, spero non in maniera intellettuale, anche se etica-senso-sociale-individuo-collettività, intellettualmente attrattivi lo sono di fatto.
Dove nascono, crescono, evolvono i cosiddetti valori? Beh, la famiglia sembra ancora rappresentare il nucleo principale, ma attorno ad essa ruotano ormai attività e preoccupazioni di così varia natura per cui l’educazione della prole rischia di non essere più il suo centro di gravità principale. Forse è giusto così, ma non ne sono convinto del tutto.
Sicuramente sino all’adolescenza l’azione della famiglia verso i figli è più incisiva. Ma l’arrivo dell’adolescenza e il passaggio alla giovinezza, pone una serie di problemi e incertezze ai genitori che non sempre essi riescono ad affrontare con determinazione. Crisi di comunicazione. Crisi di idee. Crisi della famiglia.
E poi nuovi nuclei di relazione sociale – una decina di anni fa avremmo detto “si profilano all’orizzonte”, mentre oggi diciamo “hanno definitivamente preso piede” – si propongono e si sviluppano, generando sorprese, scatenando pregiudizi, stimolando speranze, innestando contraccolpi: convivenza, coppie omosessuali, coppie di fatto, uteri in affitto, adozioni specialissime.
Perciò ci si chiede: i processi educativi che metteranno in piedi sia queste neo formazioni che la famiglia tradizionale, nell’epoca di Twitter e del Web 2.0, saranno all’altezza delle attese? Il principio del piacere, la legge del tutto e subito, l’evitare regole-confini e la voglia di protagonismo verranno tenuti sotto controllo o si sgretoleranno sotto i colpi dei video in formato Mpeg4? Certo che i pessimisti hanno molto cotone da tessere. A loro basta leggere le pagine di cronaca di un quotidiano. I modernisti invece ci dicono che You Tube non è solo bullismo, ma anche scoperta di talenti e fonte informativa inimmaginabile. Comunque, ribattono tutti insieme, in ogni epoca il conflitto vecchie-nuove generazioni è stato all’ordine del giorno della storia. L’unica certezza oggi è che i risultati di questi processi educativi si vedranno a venire.
Torniamo però al primo quesito. I giovani non giocano più in strada. Meno male o è un guaio? Mi schiero senza mezzi termini, non è un guaio, ma mi dispiace. Il territorio, il quartiere, le amicizie con i vicini di casa, il prato, il marciapiede: un contesto concreto maestro di vita è oggi praticamente scomparso. Un contesto, è vero, a volte pericoloso, forse addirittura delegittimante della saldezza di istituzioni centralistiche, ma la strada, insieme agli oratori di periferia, hanno rappresentato per quella parte popolare delle masse ex proletarie (non ancora transitate nella piccola borghesia e non ancora acculturata dalla TV e dai media) una valvola educativa di enorme spessore. Il prato, il marciapiede, la strada, gli oratori hanno cementato emozioni, creato amicizie, formato temperamenti, raccontato storie, delineato personaggi. Hanno fatto crescere uomini.
Intendiamoci, strada o oratorio mica era tutto rose e fiori: i piccoli leader bizzosi di allora assomigliavano sicuramente a bulli di oggi, ma ieri mancava la cassa di risonanza principe (youtube) e quel desiderio di apparire che, oltre essere al servizio del narcisismo post-adolescenziale, oggi è usato per immaginare un percorso professionale vincente, quello con il profilo del tronista o del candidato al Grande Fratello.
Dicevamo strada, oratorio. Chi superava indenne quel periodo – e per indenne intendo chi non si lasciava andare a stranezze o a inquietudini balorde – poteva dire di aver interiorizzato valori solidi e positivi, di aver capitalizzato il proprio tempo, di avere fornito valore aggiunto a se’ stesso ed alla società: l’amicizia, la solidarietà, lo spirito di sacrificio, il senso del collettivo, la voglia di raggiungere obiettivi senza troppe scorciatoie, il senso del lavoro, la lealtà, il rispetto per gli altri. La fiducia.
E qui, dall’elenco di alcuni valori che sono fondanti dell’etica – parlo certamente di etica popolare, quella che non odora di cuoio firmato – nasce la seconda questione. Che introduco provocatoriamente: la classe politica emergente odierna è figlia della strada o ne è solo sorellastra? Anche in questo caso mi schiero: né figlia, né sorellastra. Anzi non ne è neanche lontana parente.
La classe politica emergente mi ricorda proprio quei balordi che – sebbene appellati come ragazzi di vita da un Pasolini inquieto e pessimista – hanno rappresentato la parte meno buona del quartiere, anzi del paese.
Il problema principale dei giovani politici (generalizzando) è che, non avendo interiorizzato forti valori solidaristici, riescono solo ad imitare i vecchi dirigenti di partito, fingendo di interessarsi al collettivo, ma spesso operando come professionisti dedicati a ritagliarsi spazi di potere finalizzati a mantenere vivace il proprio profilo economico. E’ per questo che la vecchia classe politica non riesce ad essere turnoverizzata. Manca una spinta popolare che, aderendo a leader nuovi e credibili, dia loro le risorse per porre in atto un ricambio.
Sono consapevole che il quadro che descrivo nasconde una sorta di pessimismo di fondo. Ma ritengo che solo da una corretta diagnosi si può successivamente passare alla più opportuna terapia. E oggi, la terapia principe, è quella di rilanciare i processi di fiducia reciproci. Di rilanciare la solidarietà. Tra vecchie e giovani generazioni. Tra politici decadenti ed immobili nei loro ruoli e nuove classi dirigenti ancora incapaci di proporsi e di caratterizzarsi. Ma solidarietà non intesa in senso piagnucoloso e pietistico. Solidarietà percepita come attori di epoche diverse che però stanno ancora su una stessa barca, barca che mica è certo che ce la farà a galleggiare per sempre.
Michele Pizzuti psicologo
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