Caso Shalabayeva: uno stato a disposizione
Ha ragione Massimo Giannini che scrive su Repubblica : “Solo in Italia può succedere che cittadini stranieri, ma domiciliati qui, possano essere “sequestrati” in gran segreto dalle autorità di sicurezza e rispediti nel Paese di provenienza, dove si pratica abitualmente la tortura”.
Adesso l’ordine di espulsione è stato revocato perché ci si è accorti che i suoi presupposti erano falsi. Ciò significa che la moglie dell’oppositore del dittatore kazako Nazarbayev (rifugiato politico a Londra) aveva il diritto di risiedere in Italia, ma che questo diritto è stato ignorato, nascosto, calpestato nella fretta di consegnare madre e figlia al governo del Kazakistan.
Ciò che si sa è che in soli tre giorni è stata realizzata un’operazione di polizia con grande dispiego di forze (50 agenti) concordata tra ambasciata del Kazakistan e autorità italiane che si è conclusa con la consegna a quel governo di due ostaggi colpevoli di nulla se non di essere moglie e figlia di un oppositore del regime.
Nel Paese delle anomalie questa è l’ennesima conferma che lo Stato è suddiviso tra sfere di influenza di gruppi di potere che si sono abituati ad usare apparati ed istituzioni per i loro scopi fra i quali, evidentemente, si sono inseriti anche piaceri a dittatori con i quali Berlusconi aveva stretto rapporti di amicizia e di affari. La pratica dell’abuso e dell’arbitrio (e la sicurezza dell’impunità) deve essere così diffusa e condivisa tra chi dirige le autorità amministrative e istituzionali da far perdere il lume della ragione. Se non fosse così nel governo e negli apparati coinvolti nel sequestro Shalabayeva salterebbero molte teste visto che sono stati usati poteri dello Stato per procurare un ostaggio al dittatore del Kazakistan. Altro che il rispetto delle procedure rivendicato nel comunicato del governo!
Ma la cultura dominante non è quella della legalità. È di questi giorni la rivolta del centro destra contro la convocazione della Cassazione per esaminare il caso Berlusconi. Convocazione che segue un ricorso fatto dai legali del pluricondannato in primo grado e in appello per gli sporchi affari di evasione fiscale legati agli acquisti di Mediaset.
Un ricorso per allungare i tempi e far saltare le sentenze già emesse. Si pretendeva, infatti, che la Cassazione venisse meno ai suoi doveri rendendosi complice di un ritardo che avrebbe portato alla prescrizione del processo. In pratica si chiedeva alla massima autorità della Magistratura di violare la legge e di tradire il suo mandato per favorire Berlusconi.
L’uso privato delle istituzioni è stata una costante del berlusconismo ed ha allevato schiere di politici e di dirigenti dello stato che hanno agito e agiscono con gli stessi principi. D’altra parte non ci dobbiamo stupire: gli apparati dello Stato preposti alla sicurezza sono stati coinvolti nei peggiori casi di stragismo che hanno segnato la storia dell’Italia repubblicana. E coinvolti non come persecutori degli assassini, bensì come loro complici, mandanti, ispiratori.
Come cittadini dobbiamo ribellarci a questo dominio di oligarchie che usano la democrazia per distruggerne le fondamenta e per trasformarla in un regime autoritario fondato sullo sfruttamento delle risorse pubbliche.
Non possiamo perdonare nulla a chi rappresenta lo Stato e viola le sue leggi. Non possiamo perdonare nulla ad un governo che si rivela incapace di dirigere gli apparati che gli sono sottoposti e che si fonda su un impossibile compromesso con chi rivendica il proprio potere personale come fondamento giuridico di una legittimazione illegale ed eversiva.
PS: la ricostruzione esatta dei fatti che sta emergendo sulla stampa chiama direttamente in causa il Capo di gabinetto del Ministro dell’interno Alfano che avrebbe partecipato alla fase decisionale dell’azione di polizia che ha investito l’intero vertice della polizia. Come fa Alfano a sostenere di non saperne nulla? Impossibile e impossibile dovrebbe essere che questo ministro continui a stare nel governo avendo consentito che i nostri apparati di polizia fossero messi a disposizione di un dittatore e azionati su richiesta della sua ambasciata
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