Fare a meno degli imballaggi alimentari in plastica?

Noi esseri umani abbiamo un difetto: ci accorgiamo di quello che abbiamo intorno solo se questo tocca direttamente la nostra vita di tutti i giorni e, soprattutto, se questo è ben in vista. Un esempio di questo atteggiamento lo possiamo trovare nella valutazione degli imballaggi in genere e di quelli di plastica in particolare. Sembra che questo oggi sia diventato un problema enorme, tutti ne parlano e tutti si lamentano. La nuova parola d’ordine è: eliminiamo la plastica e comperiamo “sfuso”.

Sembra che la plastica sia presente solo negli imballaggi e, invece, la plastica è ovunque. Abolirla è facile a dirsi, ma bisognerebbe riuscire ad eliminare la gran parte degli oggetti che utilizziamo ogni giorno. Basta pensarci per capire che non è possibile.

In realtà ce l’abbiamo con la plastica perché la notiamo soprattutto negli imballaggi alimentari e li colleghiamo ai rifiuti che vediamo sulle spiagge, nei boschi, nei prati o per le strade. Per questo chiediamo che si faccia qualcosa e la prima reazione è pensare di eliminarla. È uno dei luoghi comuni più diffusi: eliminare la plastica; addirittura proibirne l’uso; tornare ai prodotti sfusi privi di imballaggi e, quindi, tornare ad usare contenitori di vetro a rendere.

Molti sottovalutano il fatto che la prima soluzione sensata (e già obbligatoria) è organizzare una raccolta differenziata che porti o al riciclo della plastica o al suo utilizzo per produrre energia. I primi responsabili dell’inquinamento, quindi, non sono le plastiche, ma le persone che disperdono i rifiuti nell’ambiente.

Pensiamo di poter fare a meno degli imballaggi perché siamo abituati ad averli e non teniamo abbastanza conto della loro funzione. I prodotti confezionati hanno iniziato a comparire con la grande distribuzione e con la necessità (o comodità) di fare la spesa di tanto in tanto nei supermercati e non più ogni giorno nei negozi di quartiere.

Sono nate a questo punto due esigenze: i prodotti dovevano durare più a lungo sia sugli scaffali sia nei frigoriferi dei clienti  e non dovevano essere contaminati da altre merci che venivano acquistate insieme. La  risposta sono stati gli imballaggi alimentari, naturalmente di plastica perché solo così si poteva garantire un livello igienico elevatissimo allungando anche i tempi di conservazione dei cibi.

Infatti, gli alimenti tendono naturalmente a deteriorarsi per due meccanismi, l’ossidazione e  la fermentazione microbica. La semplice ossidazione da parte dell’ossigeno dell’aria fa irrancidire i grassi in due o tre giorni; i batteri e le muffe poi rendono immangiabile e tossico qualunque alimento.

Per ovviare a questi problemi sono nate nuove tecniche quali il sotto vuoto e l’atmosfera modificata, tecniche che allungano notevolmente la vita dei prodotti in condizioni igieniche ottimali, e ovviamente per poterlo fare le confezioni devono essere  di plastica.

Da quando tutto viene confezionato sono crollate le intossicazioni alimentari ( e i morti); i pochi casi che ci sono e finiscono sui giornali spesso sono dovuti a conserve casalinghe. Per questo la mozzarella per legge deve essere contenuta in un sacchetto sigillato. Il salame, il prosciutto e tutti i salumi affettati se non confezionati diventano rancidi in un giorno. I broccoli senza la plastica non fanno in tempo ad arrivare al supermercato, marciscono prima. I formaggi ammuffiscono due giorni dopo essere stati tagliati. insomma, senza plastica lo spreco di cibo e di denaro sarebbe enorme.

Ma forse una soluzione c’è. Se la plastica non si può evitare allora che sia almeno bio, cioè biodegradabile. Le plastiche non sono tutte uguali, sono moltissime, e le plastiche biodegradabili invece sono pochissime e non sono dotate di quei requisiti che servirebbero per sostituire la plastica che si utilizza oggi.

Ovviamente è sempre possibile che se ne inventino di altre, con prestazioni superiori, ma investire nella ricerca non è così semplice, occorrono risorse e tempo e non è detto che si ottenga ciò che ci si aspetta.

Bisogna tener conto che le plastiche biodegradabili, in realtà, sono compostabili, cioè per bio-degradarsi hanno bisogno di impianti specifici di compostaggio con temperature elevate (40-50°). Senza questi impianti occorrono anni e anni affinché questi polimeri possano decomporsi.

In conclusione, che siano plastiche “normali” o bio, dovranno sempre essere raccolte e trasformate o in nuove materie prime o in composti organici o in energia nei termovalorizzatori.

Pietro Zonca

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