I diritti e la spesa pubblica: scendano in campo i cittadini (di Claudio Lombardi)
L’Italia declassata, il governo bloccato da anni sui processi di Berlusconi, l’economia e la società lasciate a loro stesse con uno Stato mal gestito e aperto alle incursioni di malfattori, affaristi e imbroglioni. A poco servono gli sforzi dei tanti amministratori locali onesti e dei milioni di italiani che vorrebbero fare il loro lavoro e vedere i risultati tradotti in crescita della qualità della vita. Ciò che condiziona tutto è che le leve del potere politico a livello nazionale e in molte regioni sono nelle mani di forze politiche che si sono trasformate in cricche di potere finalizzate alla sottrazione (comunque camuffata) di risorse pubbliche. Non a caso uno dei temi in primo piano nella lotta politica negli ultimi anni è stato il tentativo di ostacolare l’azione della magistratura, ovviamente in nome del garantismo e della libertà, ma realmente per proteggere interessi criminali.
Interessi criminali, definizione pesante, ma quanto mai adeguata alla situazione che viviamo. Lo Stato ha bisogno di soldi perché è gestito male e per problemi di lunga data assolutamente non affrontati dai politici al potere. Si impone di pagare il conto alle categorie sociali che non possono sottrarsi. Ma quelli che adesso devono fronteggiare la crisi sono gli stessi che hanno governato per anni sprecando le risorse pubbliche e che non hanno saputo o voluto prevedere la degenerazione della situazione finanziaria. Portano per intero la responsabilità di non essere intervenuti e di non aver voluto affrontare i problemi del Paese. Al contrario, come tutti gli scandali scoppiati negli ultimi anni dimostrano (la cricca di Anemone e della Protezione civile, i rifiuti a Napoli, il caso Tarantini) hanno protetto e incentivato l’assalto alle istituzioni guidato da un Presidente del Consiglio che le ha utilizzate per pagare la gente di malaffare di cui si è servito e per sfuggire ai processi nei quali è accusato di gravi reati. La maggioranza che lo sostiene è tutta complice per aver avallato e difeso ciò che non era difendibile. Basta fare sconti ai politici: chi sbaglia paghi.
Detto ciò occorre guardare in faccia la realtà sperando che la politica corrotta e dannosa sia cacciata dallo Stato (e dai comuni, dalle province e dalle regioni) al più presto.
La difesa dei diritti non può più essere condotta se non partendo da una grande operazione di verità, di trasparenza e di pulizia. Chi veramente vuole esercitare la tutela e la promozione dei diritti, sia essa organizzazione della società civile o sindacato o movimento o forza politica, deve sapere che ciò non si può fare in un quadro di conservazione della situazione attuale. Oggi conservazione significa riconoscere una divisione di campi fra la politica che guida le istituzioni e gli apparati e la società civile o i semplici cittadini che chiedono allo Stato prestazioni di tutti i tipi senza entrare nel merito di come vengono trovate le risorse, di come vengono gestite, delle decisioni che vengono prese.
Entrare nel merito significa scegliere e assumersi la responsabilità a tutti i livelli.
Prendiamo la spesa delle regioni. Secondo uno studio recente della Cgia di Mestre la spesa è cresciuta del 75% in 10 anni dal 2000 al 2009. 90 miliardi in più metà dei quali (46 miliardi) nella sola sanità e 26 spesi nelle sole regioni a statuto speciale cioè +89% nel decennio mentre nelle regioni ordinarie la crescita è stata del 71%.
Questi dati non significano immediatamente sprechi o cattiva gestione, ma devono essere valutati per capire se i risultati sono stati all’altezza della spesa perché è vero che c’è stata un’impennata della spesa per l’assistenza sociale o per la scuola, ma andando in profondità nella valutazione degli interventi si possono scoprire inefficienze o spese inutili o clientelari anche in questi settori.
Per la sanità bisogna partire da un dato ormai consolidato: la spesa sanitaria italiana pubblica e privata in rapporto al Pil è più bassa di quella di quasi tutti i paesi occidentali mentre l’aspettativa di vita si colloca ai livelli più alti. Ma anche se la sanità italiana non costa tanto in rapporto agli altri, una domanda si impone: siamo sicuri che tutta la spesa è spesa bene? È una domanda ineludibile per chi difende e promuove i diritti perché il livello della spesa pubblica è tale – ben oltre i 100 miliardi l’anno – che è impossibile non domandarselo.
È noto che ci sono alcune regioni in deficit che hanno accumulato complessivamente un passivo di decine di miliardi di euro. È altresì noto che in queste regioni (Lazio, Campania, Abruzzo, Molise e Calabria) i livelli di assistenza lasciano spesso molto a desiderare tanto che è stato registrato un impressionante dato sulla mobilità dei pazienti che vanno a cercare altrove ciò che nella propria regione non trovano: ebbene il 45% di questi si sposta dal Mezzogiorno al centro nord. È, infine, noto che proprio in queste regioni si sono verificati i maggiori casi di malasanità ovvero di inefficienza e gli scandali sul saccheggio e sullo spreco delle risorse è comparso più volte nelle cronache dei giornali.
Il problema non è, dunque, di puntare ad un aumento della spesa per avere più prestazioni, ma di verificare se con quel livello di spesa si possano conseguire maggiori risultati. Gli scandali rivelano fatti che sono innanzitutto un saccheggio delle tasche dei cittadini, un attentato alla loro salute che, a volte, si traduce in morti veri. In sostanza chi decide e amministra non deve più sentirsi solo e indisturbato a gestire risorse enormi e non deve pensare che erogando contentini a categorie, ad associazioni o anche agli stessi cittadini non gli si chieda conto di come vengono utilizzati i soldi pubblici o il potere che gli è stato conferito. Le scelte gestionali, i bilanci non sono “affari” della politica e della dirigenza bisogna saperli conoscere e valutare.
In questa situazione bisogna avere il coraggio di “saltare gli steccati”, di tendere a superare cioè la divisione di competenze fra chi decide, chi amministra (e si controlla pure da solo) e i cittadini. Se si lascia tutto in mano alla politica i risultati potranno dipendere dalla buona volontà delle persone. Se si sposta sui cittadini una parte delle funzioni di controllo, se si impone la trasparenza, se si organizza la partecipazione e la stessa valutazione civica (praticata per ora solo da Cittadinanzattiva) va oltre la mera segnalazione di disservizi e diventa un fatto politico su cui si misurano le azioni amministrative e istituzionali allora ci si mette nelle condizioni di utilizzare bene i soldi pubblici e di risparmiarli pure.
Claudio Lombardi
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