Il federalismo in sanità che non funziona
Quando quasi un cittadino su dieci rinuncia a curarsi per motivi economici e liste di attesa; quando la prevenzione si fa a macchia di leopardo, con un Sud che arranca e regioni importanti come Lazio e Veneto che fanno passi indietro rispetto al passato; quando è altrettanto diversificato di regione in regione l’accesso ai farmaci innovativi, soprattutto per il tumore e l’epatite C; quando nelle Regioni in cui il cittadino sborsa di più, per effetto dell’aumento della spesa privata per le prestazioni e della tassazione, i livelli essenziali sono meno garantiti che altrove. Quando si constata tutto ciò vuol dire che il Servizio Sanitario Nazionale non compie fino in fondo il suo dovere o, perlomeno, che ai mezzi impiegati non corrispondono i risultati attesi.
Sembra dire questo il Rapporto 2015 sul federalismo in sanità presentato da Cittadinanzattiva.
Secondo Tonino Aceti, coordinatore nazionale del Tribunale per i diritti del malato di Cittadinanzattiva “è ora di passare dai piani di rientro dal debito ai piani di rientro nei Livelli Essenziali di Assistenza, cruciali per la salute dei cittadini e la riduzione delle diseguaglianze. Per andare dietro alla sola tenuta dei conti, oggi alcune regioni in piano di rientro hanno un’offerta dei servizi persino al di sotto degli standard fissati al livello nazionale, ma con livelli di Irpef altissimi e ingiustificabili dai servizi resi”.
Il primo dato da mettere in evidenza è quello relativo alla spesa privata dei cittadini per prestazioni sanitarie che in Italia è al di sopra della media OCSE (3,2% a fronte di una media OCSE di 2,8%). A fronte di ciò colpisce che le Regioni sottoposte a piani di rientro sono anche quelle che fanno pagare di più i cittadini per l’addizionale regionale Irpef erogando un servizio che spesso è al di sotto dei livelli essenziali di assistenza (Lea).
Altri punti dolenti motivo di rinuncia alle cure e di ricorso ai servizi privati (per chi se lo può permettere) sono le liste di attesa e il peso dei ticket. Fra gli oltre 26mila che si sono rivolti al Tribunale per i diritti del malato nel 2015, uno su quattro lamenta difficoltà di accesso alle prestazioni sanitarie per liste di attesa (oltre il 58%) e per ticket (31%).
La conseguenza è che molti rinunciano a curarsi. Secondo il Rapporto ciò accade al 7,2% dei residenti ovvero a ben 2,7 milioni di persone (con il Sud al primo posto, seguito dal Centro e dal Nord). Parlano chiaro i dati sui tempi di attesa per alcune tipologie di prestazioni: per una visita ortopedica i tempi minimi si registrano nel Nord-Est (poco più di un mese), quelli massimo al Centro (quasi due mesi); per una prima visita cardiologica con ECG si va dal minimo di 42,8 giorni nel Nord-Ovest al massimo di 88 giorni al Centro; per l’ecografia completa all’addome si attende da un minimo di 57 giorni nel Nord Est ad un massimo di 115 giorni al Centro; per la riabilitazione motoria si va dai quasi 13 giorni del Nord Est ai quasi 69 giorni del Sud.
Anche sui ticket si registrano differenze tra le varie regioni. Non si tratta solo dell’importo, ma anche delle esenzioni perché in alcune Regioni sono esenti tutti i disoccupati, i lavoratori in cassa integrazione o in mobilità o con contratto di solidarietà (Lombardia, Emilia Romagna e Toscana); in altre Regioni sono esenti dalla partecipazione al costo i figli a carico dal terzo in poi (Trento); in altre ancora sono esenti gli infortunati sul lavoro per il periodo dell’infortunio o affetti da malattie professionali (Liguria, Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Toscana, Marche, Umbria, Basilicata), i danneggiati da vaccinazione obbligatoria, trasfusioni, somministrazione di emoderivati, le vittime del terrorismo e della criminalità organizzata e familiari, i residenti in zone terremotate.
Marcate differenze tra le regioni anche per i posti letto e i giorni di degenza in ospedale. In un contesto di riduzione dei posti letto per acuti comunque gran parte delle Regioni non sottoposte a Piani di Rientro dispone di più posti letto; il contrario avviene in Calabria, Puglia e Campania sottoposte da anni a Piani di rientro. Identico l’andamento per i giorni di degenza.
Altri aspetti trattati nel Rapporto riguardano l’assistenza territoriale, i punti nascita, la prevenzione, l’accesso ai farmaci innovativi, il trattamento degli stranieri, la procreazione medicalmente assistita, il trattamento del dolore in ospedale.
Il quadro complessivo che emerge dal Rapporto è quello di un assetto “federalista” che non risponde ai bisogni di salute dei cittadini e che li divide a seconda del territorio di residenza.
Il Rapporto si può scaricare dal sito www.cittadinanzattiva.it
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