Il punto sull’evasione fiscale
Un articolo di Alessandro Santoro presidente della Commissione per la redazione della relazione sull’economia non osservata e l’evasione fiscale tratto da www.lavoce.info
Sintesi: La Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva 2022 conferma la tendenza a una riduzione del fenomeno, ma solo per l’Iva. Per l’Irpef sui redditi da lavoro autonomo, invece, continua a incidere l’evasione con consenso.
I NUMERI DELLA RELAZIONE
È stata finalmente pubblicata, in allegato alla versione integrata della Nadef, la Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva -redatta da un’apposita Commissione – che contiene, da ormai quasi 10 anni a questa parte, la stima del tax gap assoluto e relativo.
Per tax gap assoluto intendiamo la differenza tra le imposte potenziali, calcolate sulla base della contabilità nazionale, e quelle effettivamente versate. Il tax gap relativo, anche detto propensione al gap, è pari al rapporto tra questa differenza – cioè le imposte evase – e le imposte potenziali. La stima avviene cercando di tenere conto di tutte le caratteristiche del sistema fiscale (aliquote, basi imponibili, modalità di versamento) e, per la parte relativa all’Iva, si basa su una metodologia del tutto analoga a quella utilizzata dalla Commissione europea, che infatti fornisce risultati simili.
La Relazione di quest’anno conferma il dato (già sostanzialmente anticipato nell’aggiornamento dello scorso dicembre) per il 2019, dove il tax gap relativo si attesta al 18,4 per cento, evidenziando ulteriormente la tendenza alla riduzione riscontrata in questi ultimi anni: è calato di 3,7 punti percentuali dal 2014 ovvero, in termini assoluti, di circa 11 miliardi (da 110 a 99). Anche le prime e provvisorie indicazioni sul 2020 vanno nella medesima direzione, ma si nota ormai con nettezza una rilevante disomogeneità nelle tendenze dei gap delle singole imposte.
Da un lato, il gap Iva continua a diminuire, e se ne prevede la riduzione al 19,3 per cento nel 2020, ovvero 8 punti in meno rispetto al 2014. Dall’altro lato, il gap Irpef per la parte relativa ai redditi da lavoro autonomo e da impresa individuale continua, invece, ad aumentare, e nel 2020 si prevede raggiunga il 68,7 per cento contro il 63,9 per cento del 2014.
COME AGIRE
Negli ultimi anni sono stati varati molti provvedimenti – lo split payment, la fatturazione elettronica, le iniziative di incentivo all’adempimento spontaneo – che sono efficaci nel ridurre l’evasione dell’Iva senza consenso. Si tratta dell’evasione che avviene lungo la catena di distribuzione e produzione, senza che fornitore e cliente siano perfettamente concordi sulle modalità e sulla quantità di evasione e che quindi, proprio in mancanza di questo consenso, lascia tracce che possono essere sfruttate, incentivando la parte che evade maggiormente a correggere il proprio comportamento o sottoponendola a un controllo fiscale.
In linea teorica, contrastando questa forma di evasione dell’Iva si riduce anche l’evasione delle imposte dirette, ma quest’ultima risente fortemente dell’evasione con consenso, che si ha quando fornitore e cliente sono perfettamente allineati nel comportamento evasivo. Avviene, in particolare, nelle vendite di beni e servizi al consumatore finale, quando non viene emesso alcuno scontrino o fattura o quando l’importo fiscale della transazione è inferiore a quello effettivo.
Il tema per il prossimo futuro è quindi quello di riuscire a ridurre anche questo tipo di evasione e, di conseguenza, il tax gap dell’Irpef per la componente dei redditi da lavoro autonomo e da impresa nonché quello dell’Iva con consenso. Se non si riuscisse a farlo potrebbero essere a rischio gli obiettivi di riduzione del tax gap inseriti nel Piano nazionale di ripresa e resilienza, che prevedono un valore non superiore al 17,6 per cento entro il 2023 e non superiore al 15,8 per cento entro il 2024. Infatti, si può ritenere che con il 2020 si possano stabilizzare gli effetti delle misure prese negli anni scorsi per contrastare l’evasione dell’Iva.
Questa considerazione sposta l’attenzione sul tema delle politiche. Nell’ultima parte della Relazione vengono riportate una serie di proposte che mirano a espandere l’efficienza dell’amministrazione finanziaria nell’utilizzo dei dati. Tra queste vi sono, ad esempio, la generalizzazione a tutte le banche dati del meccanismo di analisi del rischio finalmente entrato in vigore – dopo una lunga attesa – a giugno di quest’anno solo con riferimento ai dati dell’Anagrafe dei rapporti finanziari, nonché la possibilità di utilizzo del data scraping – ovvero l’estrazione dei dati pubblici presenti sul web e sulle piattaforme social – già introdotto in Francia e, dopo diversi contrasti, validato anche dal Conseil d’Etat lo scorso luglio.
Invece, nel nostro paese il dibattito politico si concentra sulle forme di flat tax e di regimi semplificati per autonomi e imprenditori individuali che, secondo i proponenti, dovrebbero far diminuire l’evasione grazie alla riduzione delle aliquote. Anche su questo tema la Relazione contiene alcuni approfondimenti interessanti svolti dall’Agenzia delle entrate e dal Dipartimento delle finanze. L’Agenzia delle entrate si è focalizzata sul regime “dei minimi” – originariamente introdotto nel 2007 – evidenziando come non abbia contribuito, quantomeno nel triennio 2012-2014, a ridurre il tax gap anche a causa del fenomeno dei “falsi minimi”, ovvero contribuenti che hanno potuto beneficiare dell’agevolazione solo grazie alla dichiarazione di un fatturato inferiore alla soglia dei 30mila euro. Anche l’analisi svolta dal Dipartimento delle finanze sul regime forfettario introdotto nel 2019, per quanto di carattere preliminare, evidenzia un effetto di autoselezione dei contribuenti con ricavi e compensi al di sotto della soglia massima di 65 mila euro al fine di usufruire dell’imposta sostitutiva prevista dal regime forfetario.
Sarebbe importante che le future decisioni tenessero conto di questi risultati e di quelli derivanti dagli ulteriori approfondimenti in corso.
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