Le lacune dell’amministrazione pubblica e il PNRR
Nei giorni scorsi, su più quotidiani sono apparse notizie riguardo al coinvolgimento di McKinsey nella scrittura del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.
Ha destato molta inquietudine il pensare che l’identificazione di queste scelte – cosi essenziali per il nostro futuro – sia effettuata con la stretta collaborazione di un consulente, per giunta uno dei gruppi privati più influenti e potenti al mondo.
Il 6 marzo, a seguito dei primi articoli e delle prime reazioni uscite sui social, il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha ritenuto opportuno diffondere una nota in cui ha sostanzialmente precisato tre elementi: in primo luogo, la scrittura del PNRR resta nelle mani del Governo; inoltre, il compenso per l’incarico ammonta a 25mila euro + IVA e, dunque, è di entità modesta; infine, a McKinsey viene affidato solo il compito di project manager della stessa scrittura del PNRR e di informazione su come sono stati redatti gli altri piani nazionali consegnati a Bruxelles.
Stefano Feltri, nell’articolo apparso domenica 7 marzo su Domani ha ribadito tutte le perplessità contro la decisione del Governo, ricordando, in chiusura del suo articolo, alcune vicende torbide in cui McKinsey è stata coinvolta in questi mesi, in particolare la transazione di 600 milioni di dollari con il governo del Sudafrica, originata dalla partecipazione della stessa McKinsey alla campagna promozionale del farmaco Oxy-Contin, un antidolorifico a base di oppiacei. La casa farmaceutica Purdue ha tenuto nascosto consapevolmente l’effetto collaterale del farmaco, che causa dipendenza nei pazienti, e McKinsey, appunto, è stata partecipe alla campagna per la diffusione del farmaco.
Al di là di questo aspetto specifico e del giudizio che ciascuno di noi può avere sulla scelta di un partner come McKinsey, mi sembra – per così dire – che lo sfondo su cui si snoda questa vicenda sia lo stesso da ormai molti anni e che coincida con uno dei problemi più gravi della nostra amministrazione pubblica, cioè con la sua scarsa capacità di programmare.
Ed è proprio su questo punto che sarebbe urgente intervenire.
Non a caso, Conte, qualche mese fa, pensò di affidarsi per la scrittura del PNRR ad alcuni super-manager; la sua idea venne bloccata anche a causa del chiaro conflitto di interessi in cui versavano molti fra i nomi diffusi.
In parallelo, pur non essendoci super-manager, è stato comunque ritenuto necessario affidarsi ai cosiddetti pivot per la scrittura di alcune parti del PNRR, cioè alle società di stato quali Invitalia e Cassa Depositi e Prestiti. Il fatto che ad esempio CdP detenga il capitale di alcune imprese fortemente interessate al Piano non ha destato particolari clamori nella stampa e nei social.
Il motivo di fondo che ha indotto a queste scelte appare chiaro.
L’amministrazione centrale, nel corso dei passati decenni, oltre a mantenere o a sviluppare capacità diciamo di tipo non economico, necessarie per il buon funzionamento della nostra società – si pensi, fra tutti, al terrorismo e alla tremenda sfida a cui tutte le strutture dello Stato sono state sottoposte dalla fine degli anni ’60 dello scorso secolo – nel caso delle attività inerenti spese, investimenti, infrastrutture e simili ha ridotto il suo raggio di azione concentrandosi soprattutto sui tagli alla spesa corrente e sulla capacità di gestire il debito pubblico.
Le privatizzazioni e le liberalizzazioni di alcuni settori di pubblica utilità hanno ancor più acuito questo aspetto. In questi ambiti, la programmazione a volte è stata ritenuta del tutto superflua anche da un punto di vista concettuale, essendo queste funzioni sempre più affidate ai soggetti operanti nel mercato, spesso privatizzati.
Il PNRR, essendo appunto un piano, per giunta di estrema rilevanza, ha fatto emergere con forza questa lacuna. Programmare significa avere dati aggiornati, analisi e opinioni indipendenti su questi dati, conoscenza delle dinamiche a medio e a lungo periodo di tecnologie e settori, contatti con paesi esteri per valutare altri esempi di buona programmazione, limitandosi ai soli principali aspetti informativi che stanno alla base di un buon piano.
Indubbiamente, recuperare in pochi mesi un gap decennale appare una sfida imponente.
Sotto questo profilo, la necessità di farsi affiancare da terzi nella scrittura del PNRR appare comprensibile, soprattutto per far fronte ai compiti da svolgere nell’immediato.
Sul Corriere della sera di oggi, 8 marzo, Federico Fubini ci fornisce alcuni segnali positivi riguardo a questo ultimo aspetto. In particolare, descrive alcune misure che sarebbero in via di adozione da parte del Governo al fine di migliorare la qualità delle risorse umane della pubblica amministrazione; si tratterebbe di migliaia di assunzioni a tempo determinato richieste proprio da Bruxelles ai fini della scrittura del PNRR e della realizzazione degli investimenti. I contratti di lavoro terminerebbero nel 2026, anno di chiusura del periodo di corresponsione dei contributi comunitari.
Vedremo come andrà a finire.
Pensare a migliaia di persone che per qualche anno lavorano per lo stato e poi ritornano a svolgere le passate attività può suscitare qualche perplessità, se non proprio ironia…
La sfida che ci attende resta comunque duplice, riguardante rispettivamente l’immediato e il medio-lungo periodo.
Infatti, in primo luogo, appare essenziale che il PNRR venga portato a compimento nel miglior modo possibile. A tal proposito, nella versione nota, il Piano appare più come la somma di singoli progetti che come il frutto di una attività programmatoria di ampio respiro e a lungo termine.
Pur consapevoli della difficoltà di effettuare una attività come questa, in presenza del vincolo di una amministrazione poco preparata a cui si è fatto cenno, andrebbe valutata con urgenza la possibilità di inserire nel piano, o almeno in alcune sue parti, alcuni scenari di fondo che diano una ragione e una quantificazione ai singoli progetti.
Ad esempio per quanto riguarda l’energia e il clima, gioverebbe disporre di una valutazione di quali risorse naturali sono disponibili (sole e vento in primo luogo) e in che modo queste vengano utilizzate nel medesimo piano. Questo sarebbe utile per capire la verosimiglianza di alcuni progetti e per iniziare una analisi costi-benefici di ciascuna opzione disponibile. Tutto questo, mantenendo le perplessità sui motivi che non hanno indotto mesi fa, cioè ai tempi in cui è apparso chiaro che ci sarebbe stato da redigere un PNRR, a partire dalla formulazione di questi scenari di base e di documenti generali – tipo i libri bianchi di stampo comunitario – da condividere per poi identificare investimenti in modo più dettagliato.
Infine e in secondo luogo, oltre alla necessità di scrivere e consegnare un piano a Bruxelles, sarebbe il caso di affrontare finalmente una riforma della amministrazione, svecchiandola e dotandola di risorse che ormai sono localizzate solo nel privato.
Sfida imponente, come detto, ma che appare ormai non più rinviabile. Anche perché il PNRR si esaurirà nel 2026 ma, tra le altre, la transizione ecologica o la trasformazione digitale della nostra società proseguiranno anche dopo la chiusura del piano e non potranno essere affidate unicamente al mercato.
Luigi Bonelli
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