Stadio della Roma e riflessioni sulla politica
Un interessante articolo su Repubblica di oggi (5 settembre) ricostruisce il ruolo del Pd romano nella decisione di costruire il nuovo stadio della Roma (con annessi e connessi) per dar vita al più grande investimento immobiliare privato da decenni a questa parte nella capitale.
Su questa opera, proprio per le sue gigantesche dimensioni, è giusto avere dubbi e chiedere garanzie per capire se e come realizzarla anche nell’interesse della città e non solo per le imprese private che ci lavoreranno e per la squadra della Roma.
La ricostruzione delle ripercussioni nel Pd romano però va oltre e tocca il senso dell’esistenza di questo partito e della funzione della politica. Lasciamo stare che la giornalista autrice dell’articolo parli di “guerra tra bande che da oltre un anno agita i dem locali per la conquista della supremazia nel partito e nella città”. Questa potrebbe essere una malevola lettura di lotte politiche abbastanza normali.
Mettiamo anche da parte che i responsabili del progetto Stadio della Roma siano stati costretti a trattare con le varie fazioni di un partito che, pur essendo quello più rappresentato nel Consiglio comunale, non è (ancora) un’istituzione. Una cosa, infatti è trattare con le istituzioni responsabili verso la città e una cosa ben diversa è dover trattare con i capi corrente di un partito. Chiunque dovrebbe capirlo (si spera).
Concentriamoci sulla ricostruzione delle posizioni delle varie componenti del Pd romano come riflesso degli interessi dei grandi costruttori, in questo caso Caltagirone e Parnasi. A questo proposito la giornalista scrive di “uno scontro in cui i vari esponenti del Pd, consiglieri comunali e parlamentari, hanno recitato da teste di legno, semplici comprimari indaffarati a tirare ora per l’uno ora per l’altro”.
Se l’italiano ha ancora un senso questa frase significa che il Pd romano è controllato da gente che risponde agli ordini dei poteri forti romani cioè innanzitutto i costruttori. Poiché questi ultimi non sono esponenti di ideologie o di correnti di pensiero, ma solo di interessi economici è logico pensare che i capibastone romani del Pd seguano i soldi e il potere a questi collegato.
Ebbene questa analisi richiederebbe dagli esponenti di partito citati nell’articolo un’azione giudiziaria a tutela della loro onorabilità perché se fosse vero quanto scritto nell’articolo ci troveremmo di fronte all’epitaffio sulla tomba di un partito controllato (dire diretto sarebbe concedere troppo trattandosi, come è scritto, di bande e non di gruppi dirigenti) da persone indegne. L’epitaffio sarebbe anche sulla tomba della politica sempre più asservita agli interessi di pochi con i politici nel ruolo di attori capaci di recitare la retorica degli interessi generali. Nel caso dei politici romani citati nell’articolo anche mediocri attori di quart’ordine, tra l’altro.
Sarebbe il caso che i militanti del Pd aprissero gli occhi sulla situazione del loro partito e pretendessero chiarezza magari ricordandosi della vergogna del traffico di iscritti in occasione dell’ultimo congresso romano.
Nel frattempo, bisogna proprio dire, nell’interesse della città e dei cittadini: meno male che Marino, sindaco “marziano” estraneo (sembra) ai giochi di partito, c’è e meno male che ci sono comitati e associazioni dei cittadini indipendenti dal controllo dei poteri forti.
C. L.
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