Sullo sfondo della crisi e delle elezioni in arrivo
“Se si permette a oltre 140.000 laureati di lasciare il Paese, il sovranismo diventa masochismo e la decantata sovranità diventa sovranità limitata (….) tra poco resteranno in Italia solo pensionati, badanti e lavoratori attivi tra i quaranta e i sessant’anni, con un peso enorme sulle spalle: mantenere in piedi gli ottimi livelli di assistenza senza avere però un futuro migliore del passato dei propri padri. Una miniera sociale che ci trasformerà in una splendida, ma pur sempre gigantesca casa di cura quando potremmo essere molti di più”. Questa la conclusione di un articolo di Roberto Sommella sul Corriere della Sera di oggi.
Mentre tutti si impegnano a commentare le mosse dei protagonisti della politica in una crisi tanto prevista quanto smaccatamente condizionata dagli interessi particolari di un solo leader, è bene non smarrire l’aggancio con la realtà. E questa è quella di un Paese più lento a crescere di tutti gli altri, gravato da problemi strutturali di lunga durata che non riesce ad affrontare (evasione fiscale, divario nord-sud, mafie, nanismo delle imprese, sistema formativo, calo demografico), privo di una coesione e di un’identità nazionale, incattivito e incolto.
Da anni lo scontro politico si consuma intorno ai numeri della finanza pubblica e gli antieuro sono stati bravissimi a convincere tanti italiani che l’Europa sia la nostra palla al piede. Deficit, debito, spesa corrente in tutte le sue mille variabili definiscono il perimetro del confronto all’interno e con l’esterno e su questo stampa, opinionisti, tv battono e ribattono. Con minimo sforzo l’opinione pubblica viene sollecitata ad arrabbiarsi dai capi populisti perché sembra che l’unico problema sia il freno che ci viene dall’aderire ad una disciplina di bilancio comune ai paesi della moneta unica. A ben poco servono i richiami alla realtà fuori di noi che ci vede perdenti nel confronto con altri stati che condividono le stesse regole. A ben poco servono anche i richiami alla nostra storia che ci insegna come il debito pubblico si sia formato e sia cresciuto per l’incapacità dei politici al comando di affrontare i problemi e per la scelta di comprare il consenso sopendo le tensioni con i soldi e compensando gli infiniti particolarismi che compongono la nostra identità nazionale. Aumentandone così il frazionamento invece di diminuirlo. Un solo esempio: si pensi a cosa sono state le regioni negli ultimi decenni.
Oggi quella strada è impraticabile non perché ce lo impone l’Europa, ma perché siamo arrivati ai limiti permessi oggettivamente al nostro modello di Paese e di sviluppo. Non si può comprare tempo all’infinito facendo debito. Non lo si può fare se si è l’Italia con le sue palle al piede storiche e i suoi guai strutturali. Ridicolo confrontarsi con gli Usa o con il Giappone. Diversivi tragici per non dire la verità.
E la verità è dura: un’Italia che spinge ancora sul deficit e sul debito e che si allontana dall’Europa è destinata a diventare terra di conquista di potenze economiche, geopolitiche e militari. Pensiamo alla Lombardia, al Veneto e all’Emilia: sono già strettamente intrecciate all’area economica tedesca. Fuori dall’Europa ne sarebbero colonizzate.
“Prima gli italiani” è uno slogan straccione e ignobile che nasconde la miseria morale di politici senza scrupoli e senza idee. In fin dei conti quale è la proposta strategica del gran capo dei sovranisti italiani, Salvini? Deficit e debito. Non altro. Per compensare le tante anime della Lega e per illudere che possa esistere ancora una sovranità italiana sullo sfondo della trattativa di Mosca nella quale un plenipotenziario della Lega conosciuto, riconosciuto ed esibito è andato a vendere per soldi la politica europea e la collocazione internazionale dell’Italia. È tutto registrato e trascritto. Non si può smentire e, infatti, Salvini non è potuto andare al di là delle battute. Impossibilitato a negare e a confermare si è rifugiato nella sua solita comunicazione aggressiva. Il vero problema è che è stato giustificato da tanti italiani incarogniti e già mentalmente pronti a sottomettersi pur di vedere la loro rabbia al potere.
Salvini li ha allevati bene: una vetta di indignazione e di rancore per poche centinaia di migranti portati qui dalle Ong e passiva accettazione del controllo del territorio esercitato per esempio nella Capitale dalle nuove bande che controllano il traffico di droga.
Questa Italia si avvia ad elezioni e il gran favorito è Salvini. Tutto il dibattito è su quando votare, ma nessuno mette in discussione che il vincitore sarà lui. E nessuno riesce a contrapporre alla sua comunicazione becera e profondamente intrisa di una cultura autoritaria una reazione valida. Sembra che in molti vi sia un pensiero che non si può esprimere: in fin dei conti Salvini ha ragione e gli italiani che lo seguono pure.
Un giorno gli storici spiegheranno come sia potuto accadere che l’Italia sia caduta preda della parte peggiore della politica e della cultura civile. Per ora bisogna reagire e non accettare il fatto compiuto. A cominciare dall’imposizione di una data elettorale pretesa con volgare arroganza. Le elezioni sono inevitabili, ma che almeno si svolgano in modo ordinato e nel rispetto di tutte le regole
Claudio Lombardi
Anche questo articolo e’ un invito all’odio verso Salvini ,quindi chi l’ha scritto non e’ migliore di altri.Smettetela di sminuire le aspettative di un popolo che chiede solo sicurezza e rispetto delle regole