Trump agente russo?

In occasione della rielezione di Trump e, soprattutto, dello stupefacente capovolgimento di posizione sulla guerra in Ucraina e sui rapporti con l’Unione europea che hanno fatto gridare (giustamente) al tradimento, molti sono stati indotti a porsi nuove domande su Trump e sulle ragioni della sua completa adesione alle pretese di Putin. Comunque si voglia inquadrare la questione non c’è dubbio che accogliere in toto la versione di Mosca (insulti a Zelensky compresi) va molto al di là di una ridefinizione delle strategie in previsione di un duro confronto con la Cina. In primo luogo la trattativa tra Usa e Russia deve ancora iniziare e assecondare ogni richiesta russa prima ancora di discuterne appare veramente un eccesso. Se poi si considera che a Putin Trump non chiede nulla, lo svantaggio per gli Usa e la svendita dell’Ucraina diventa totale. La Russia non ha nemmeno fatto cenno a voler allontanarsi dall’alleanza con la Cina né di voler rivedere la sua presenza nel gruppo dei BRICS depotenziandone la carica di antiamericanismo. Insomma perché mai Trump alla guida della prima superpotenza mondiale si caccia da solo in un vicolo cieco come se fosse un perdente? Al contrario, perdente è la Russia rimasta incagliata in Ucraina con enormi perdite di materiali e di soldati e con un’economia sull’orlo di una catastrofica crisi. Putin dovrebbe andare ad implorare comprensione con il cappello in mano e, invece, non lo fa e si fa omaggiare da Trump che ogni giorno gli indirizza elogi e dichiarazioni di stima. E tutto ciò avviene nel quadro di una rottura dell’alleanza atlantica che ha dell’incredibile. Di fatto Trump dà un calcio al suo principale alleato forte di 450 milioni di persone, depotenzia la Nato, distrugge i valori occidentali e mostra comprensione per le “esigenze” di espansione della sfera di influenza russa arrivando persino a far dire al suo vice e al capo del Pentagono di voler ritirare i soldati dagli stati baltici e dalla Germania. Un tale disastro accompagnato dall’occupazione dei principali posti di responsabilità nei servizi segreti e nell’FBI da parte di fedelissimi di Trump del tutto incompetenti in  quei settori e corredato dal licenziamento di generali e personale esperto persino nelle forze armate deve far pensare a qualcosa di diverso dalla semplice ignoranza. Deve far pensare ad un piano che non risponde alle esigenze di sicurezza degli Stati Uniti, ma a quelle di indebolimento che qualche entità nemica degli Usa sta perseguendo.

Una possibile, ma assolutamente verosimile, spiegazione sta nel rimettere al centro dell’attenzione dubbi, domande e sospetti che diedero già luogo pochi anni fa a ricerche e indagini. Si tratta dell’ipotetico reclutamento di Trump da parte dei servizi segreti sovietici e russi e del suo coinvolgimento nel riciclaggio di capitali sporchi della mafia russa possibile grazie alle sue attività di immobiliarista. Di seguito vengono riportate le presentazioni (fonte Amazon) di due libri pubblicati uno nel 2018 (tradotto in italiano) e l’altro nel 2021 (solo edizione inglese) dal giornalista Craig Unger (QUI una biografia e informazioni sui suoi lavori).

CASA DI TRUMP, CASA DI PUTIN

È la prima indagine completa sulla relazione decennale tra Donald Trump, Vladimir Putin e la mafia russa, un legame che ha aiutato Trump ad arrivare alla Casa Bianca. Una storia avvincente che inizia negli anni settanta – quando Trump fa la sua comparsa nel settore immobiliare di New York, un mondo pieno di soldi e in espansione – e che culmina con la sua elezione a presidente degli Stati Uniti. Quel giorno segna il punto di arrivo del lungo progetto russo di indebolire la democrazia occidentale. Un progetto che è cominciato trent’anni prima, quando la mafia russa puntò le proprietà di Trump per ripulire il proprio denaro, e che ha portato gli oligarchi di Putin e i boss mafiosi a salvare il tycoon da una serie di clamorosi fallimenti dei suoi hotel e casinò ad Atlantic City. Questa inchiesta conferma i peggiori sospetti americani sulle ingerenze russe ed è la rivelazione sconcertante che la guerra fredda non è finita nel 1991, ma si è semplicemente evoluta: gli affari immobiliari di Trump sono diventati il veicolo perfetto per investire miliardi di dollari dall’Unione Sovietica al collasso. In Casa di Trump, casa di Putin, Craig Unger segue le tracce dell’alleanza tra le alte sfere della politica americana e i protagonisti del mondo sommerso della mafia russa. Documenta l’ascesa di Trump da magnate immobiliare alla più alta carica del paese. Descrive la rinascita russa dalle ceneri dell’Unione Sovietica così come il suo incessante desiderio di rivalsa contro l’occidente, per reclamare il suo ruolo di superpotenza globale. Senza Trump, alla Russia sarebbe mancato un elemento chiave per tornare alla sua grandezza imperiale. Senza la Russia, Trump non sarebbe presidente. Questo libro, appassionante come un thriller, è una lettura essenziale per comprendere i veri poteri che manovrano nell’ombra il mondo in cui viviamo.

AMERICAN KOMPROMAT: COME IL KGB HA COLTIVATO DONALD TRUMP e storie correlate di sesso, avidità, potere e tradimento (edizione inglese). Kompromat in russo significa “informazioni compromettenti”

Questa è una storia sugli sporchi segreti delle persone più potenti del mondo, incluso Donald Trump. Si basa su interviste esclusive con dozzine di fonti di alto livello: funzionari dell’intelligence della CIA, dell’FBI e del KGB, migliaia di pagine di indagini dell’FBI, indagini di polizia e articoli di notizie in inglese, russo e ucraino. L’American Kompromat dimostra che, da Trump a Jeffrey Epstein, il kompromat è stato utilizzato in operazioni molto più sinistre di quanto il pubblico potesse mai immaginare. Tra questi, il libro affronta quella che potrebbe essere la domanda senza risposta più importante dell’intera era Trump: Donald Trump è una risorsa russa?

La risposta, dice American Kompromat, è sì, e supporta tale conclusione con il primo resoconto riccamente dettagliato su come il KGB avrebbe presumibilmente “individuato” Trump come una potenziale risorsa, come lo hanno coltivato come una risorsa, come hanno organizzato il suo primo viaggio a Mosca e lo hanno riempito di punti di discussione del KGB che sono stati pubblicati su tre dei giornali più prestigiosi d’America. Sul New York Times, Washington Post e Boston Globe apparve una pagina pubblicitaria acquistata da Trump per rivolgere «al popolo americano» una lettera aperta di dura critica alla politica estera degli Stati Uniti di Ronald Reagan

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