Una gestione centralizzata del Servizio Sanitario Nazionale è necessaria
Viviamo in un Paese dove la salute è sancita dalla Costituzione come un diritto fondamentale, ma questo principio viene spesso tradito da un’organizzazione del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) frammentata e inefficiente. L’attuale sistema, affidato alle singole Regioni, genera enormi disuguaglianze e sprechi che potrebbero essere evitati con una gestione centralizzata e coordinata a livello nazionale.
Ritengo, infatti, che una sanità centralizzata sarebbe non solo più equa, ma anche enormemente più efficiente.
L’affidamento della gestione sanitaria a ogni singola Regione, creando così 20 differenti servizi sanitari, ha prodotto un’Italia a due, se non a tre velocità. A seconda di dove si nasce o si vive, si può avere accesso a cure di alta qualità o subire liste d’attesa interminabili, strutture fatiscenti e carenza di personale. Questa disparità è inaccettabile in un Paese che dovrebbe garantire pari opportunità a tutti i cittadini, indipendentemente dal loro luogo di residenza.
Una gestione centralizzata permetterebbe di uniformare i servizi sanitari su tutto il territorio, stabilendo standard di qualità e tempi di risposta uguali per tutti. Non si tratterebbe più di competere fra Regioni, ma di lavorare per un unico obiettivo: la salute dei cittadini.
L’attuale sistema regionale non solo è inefficiente, ma è anche uno spreco di risorse senza precedenti. Ogni Regione opera come se fosse un’entità separata, moltiplicando strutture, servizi e apparati amministrativi. Questa frammentazione comporta costi enormi che potrebbero essere evitati.
Immaginiamo l’acquisto di farmaci, materiali medici o macchinari. Oggi ogni Regione tratta separatamente con i fornitori, pagando prezzi diversi e spesso più alti. Con una gestione centralizzata, lo Stato potrebbe negoziare contratti per volumi maggiori, ottenendo sconti significativi. Non è difficile intuire il risparmio che deriverebbe dall’acquisto massivo di farmaci, dispositivi medici o apparecchiature come TAC e risonanze magnetiche.
Non solo l’acquisto, ma anche la manutenzione dei macchinari ne trarrebbe vantaggio. Se tutte le Regioni utilizzassero lo stesso modello di TAC o di RSM, la gestione della manutenzione sarebbe molto più semplice ed economica. Si potrebbero stipulare contratti globali di manutenzione con condizioni vantaggiose, invece di avere 20 contratti separati con costi differenti; probabilmente un’unica ditta specializzata potrebbe operare la manutenzione, spostandosi di volta in volta dove serve, con costi complessivamente minori rispetto all’attuale sistema.
L’attuale sistema regionale moltiplica all’infinito uffici e servizi che potrebbero essere accorpati. Dai Centri Unici di Prenotazione (CUP) agli uffici amministrativi, ogni Regione dispone delle proprie strutture, personale e sistemi informatici, peraltro diversi e incompatibili tra loro, creando una ridondanza che è economicamente insostenibile oltre che per niente funzionale.
Una sanità centralizzata consentirebbe quindi di razionalizzare il personale amministrativo, destinando le risorse umane risparmiate a ruoli essenziali come medici, infermieri e tecnici. E, come abbiamo detto, unificare i sistemi informatici: Oggi ogni Regione sviluppa i propri software per la gestione sanitaria, con costi esorbitanti e mancanza di interoperabilità. Un sistema nazionale unico garantirebbe risparmi enormi e una maggiore efficienza.
La pandemia di COVID-19 ha mostrato in modo drammatico i limiti di una sanità regionale frammentata.
La mancanza di coordinamento tra le Regioni, le differenze nei protocolli e nei tempi di risposta hanno reso la gestione dell’emergenza più complessa e caotica. Una struttura centralizzata avrebbe potuto molto più facilmente coordinare in modo rapido la distribuzione di risorse come vaccini, dispositivi di protezione e personale sanitario e garantire una risposta uniforme alle emergenze, riducendo il rischio di sovraccaricare alcune Regioni mentre altre disponevano di risorse inutilizzate.
Una sanità centralizzata non significherebbe soltanto risparmi e maggiore efficienza, ma anche una semplificazione per i cittadini. Pensiamo alla burocrazia legata alla mobilità sanitaria: quante persone devono spostarsi da una Regione all’altra per ricevere cure adeguate? Questo non solo grava sulle famiglie, ma anche sui bilanci regionali. Con una gestione unica, sarebbe possibile pianificare in modo più equilibrato l’erogazione dei servizi, evitando migrazioni sanitarie che oggi sono un simbolo delle disuguaglianze.
Centralizzare il Servizio Sanitario Nazionale non significherebbe tornare a un modello rigido e burocratico, ma costruire un sistema moderno e integrato, capace di rispondere in modo efficace alle sfide del XXI secolo. La tecnologia, i big data e l’intelligenza artificiale potrebbero essere sfruttati al massimo solo con un sistema unico e coordinato, in grado di raccogliere e analizzare informazioni su scala nazionale per migliorare i servizi e prevenire le malattie.
È tempo di ripensare il nostro modello di sanità, superando le divisioni regionali che penalizzano i cittadini e gravano sul bilancio pubblico. La salute non deve essere una questione di fortuna geografica, ma un diritto universale garantito dallo Stato. Un Servizio Sanitario NAZIONALE, realmente centralizzato, non solo restituirebbe equità ai cittadini, ma sarebbe anche una scelta di razionalità economica, capace di liberare risorse oggi sprecate per migliorare le cure e l’accesso ai servizi.
È il momento di chiedere con forza un cambiamento: una sanità centralizzata per un’Italia più giusta, più forte e più sana.
Paolo Crucianelli
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