Tessera sanitaria a punti per imparare la prevenzione

Un articolo di Sergio Beraldo e Gilberto Turati tratto da www.lavoce.info

Sintesi: La proposta della Regione Lombardia di offrire premi a chi aderisce ai programmi di screening potrebbe ridurre le disuguaglianze in tema di salute, coinvolgendo nella prevenzione fasce più ampie di cittadini. Come garantire il rispetto della privacy.

La proposta lombarda

L’assessore al Welfare della Regione Lombardia ha avanzato una proposta per accrescere la partecipazione dei cittadini ai programmi di screening offerti gratuitamente dalla Regione (quali la ricerca di sangue occulto nelle feci per la diagnosi del tumore al colon-retto o la mammografia per il tumore al seno). L’obiettivo è quello di mitigare, tramite una più forte prevenzione, l’incidenza o comunque la gravità di alcune patologie oncologiche largamente diffuse, invalidanti per le persone e costose per il Servizio sanitario regionale, non solo della Lombardia.

L’idea dell’assessore, abbozzata nelle ricostruzioni della stampa, non è ancora confluita in una precisa proposta politica. È comunque incentrata sulla creazione di una “tessera sanitaria a punti”, da accumulare con la partecipazione ai programmi di prevenzione. I punti conseguiti darebbero diritto a “premi”, quali l’ingresso agevolato in strutture termali o l’acquisizione di skipass da utilizzare nelle strutture della regione. Si tratterebbe, dunque, di blandi benefici per attività variamente legate al mantenimento della salute, un’idea non troppo lontana da quella escogitata dai gestori di alcune polizze sanitarie statunitensi (Destiny Health Plan), che offrono incentivi per spingere gli assicurati a restare in buona salute tramite la partecipazione a programmi di screening e di wellness.

La risposta alle critiche

La proposta della “tessera a punti” è stata criticata su lavoce.info da  Vitalba Azzollini , che ne ha evidenziato alcune problematicità per quanto riguarda il trattamento dei dati personali e il pericolo di una profilazione dei cittadini che potrebbe rivelarsi discriminatoria. Il rischio è che il consenso degli utenti potrebbe non essere davvero libero e informato, soprattutto se i cittadini non sono pienamente consapevoli degli algoritmi utilizzati per elaborare le informazioni. L’uso di tecnologie avanzate come l’Intelligenza Artificiale, nell’automatizzare la valutazione dei comportamenti, aggiungerebbe ulteriori preoccupazioni. Dopo una riflessione critica sull’approccio che sottende l’iniziativa, e sulla crescente tendenza a considerare la privacy un bene negoziabile anziché un diritto inviolabile, l’autrice conclude che “in un sistema liberale, non può ritenersi auspicabile che una autorità decida, con un certo paternalismo, i comportamenti da seguire in base a una scala di valori da essa definita”.

Queste argomentazioni, soprattutto se valutate alla luce della mitezza della proposta di cui si discute, suscitano qualche perplessità, tanto più se si considera che la scarsa partecipazione ai programmi di screening è un problema urgente, come confermato dai dati pubblicati recentemente dalla Regione Lombardia e, più in generale, come testimoniato dagli indicatori relativi al monitoraggio dei livelli essenziali di assistenza.

Sul piano dei principi, considerare esecrabile l’idea che “in un sistema liberale una autorità decida (…) i comportamenti da seguire” contraddice ampiamente la posizione liberale che si vuole difendere. Questa tradizione di pensiero è infatti unanime nel ritenere che un’autorità di governo possa guidare i comportamenti individuali se da tali comportamenti deriva un danno ad altri; un’estensione del principio del danno di John Stuart Mill. Si tratta, nel caso in questione, di correggere una conseguenza negativa, che si manifesta come incremento dei costi del servizio sanitario pubblico dovuta alla scelta, da parte degli individui, di non effettuare attività di prevenzione. Il paternalismo non c’entra nulla, se per paternalismo s’intende, correttamente, la sovra-imposizione delle preferenze dell’autorità di governo a quelle dei cittadini, sulla base dell’assunto che la prima sappia meglio dei secondi ciò che è meglio per essi. Anzi, si rischia di cedere a una prospettiva paternalista laddove si mette in guardia chi decide di cedere volontariamente i propri dati in cambio di un premio.

Per quanto riguarda la condivisibile preoccupazione per la gestione dei dati personali, va considerato che è ormai tecnicamente possibile individuare modalità per stipare e gestire i dati raccolti in ambiente protetto (sand-box), in modo da fugare ogni dubbio su un loro utilizzo inappropriato, ovvero sull’abuso. Una recente proposta di legge, il cui obiettivo è quello di superare i limiti posti all’utilizzo dei dati sanitari, rispettando al contempo la privacy dei cittadini, va proprio in questa direzione.

In secondo luogo, la tessera a punti potrebbe essere utilizzata per dare premi (l’accesso agevolato alle terme o lo skipass gratuito), ma non per dare punizioni, visto che la persona in questione potrebbe aver effettuato prevenzione tramite esami diagnostici privati o non aver ricevuto a un indirizzo valido l’invito delle autorità sanitarie regionali.

Responsabilità individuale e diritto alle cure

Con queste precauzioni, si limita un’ulteriore possibile controindicazione della tessera a punti, connessa con una diffusa tendenza a sottolineare il ruolo della responsabilità individuale nell’ambito della riflessione sul tema dell’uguaglianza delle opportunità. Questa tendenza suggerisce di considerare come diseguaglianze da compensare quelle che dipendono dalle circostanze che gli individui non sono in grado di controllare; e di considerare come da non compensare (dunque legittime) le diseguaglianze che emergerebbero dal libero esercizio della responsabilità. Ciò potrebbe escludere dalle cure gratuite gli individui che per il loro comportamento sono considerati non meritevoli di ottenerle. Per intendersi: niente cure gratuite per chi, a causa della sua decisione di fumare, soffre di tumore al polmone; e ancora: niente cure gratuite per chi scopre un tumore al colon solo in fase avanzata per aver tralasciato di partecipare ai programmi di screening. Questa prospettiva è problematica per varie ragioni, non da ultimo perché viola le garanzie costituzionalmente stabilite in tema di salute. E ciò rafforza l’idea che una tessera sanitaria del tipo ipotizzato può al limite servire per elargire premi, non già punizioni.

In tema di eguaglianza delle opportunità, peraltro, la proposta lombarda potrebbe spingere le persone più povere e meno istruite, quelle che generalmente partecipano meno ai programmi di screening, ad aderire alle iniziative di prevenzione. È il vero punto sul quale riflettere: ridurre le diseguaglianze che oggi vanno a svantaggio dei più poveri e deboli. In questa prospettiva, qualche blando incentivo ad andare alle terme potrebbe tornare utile.

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