Una riforma riformista per i servizi pubblici locali ( di Maurizio Chiarini)
Articolo un pò lungo, ma vale la pena conoscere questo punto di vista.
Da oltre vent’anni assistiamo nel nostro paese al tentativo di avviare una riforma dei servizi pubblici locali che sia in grado di risolvere i cronici problemi che il settore presenta. Non c’è governo, di centrodestra o di centrosinistra, che non abbia annunciato tale riforma come una delle riforme essenziali per il rilancio del paese.
Tutti i tentativi sono, però, clamorosamente naufragati ed oggi assistiamo ad un assetto del settore profondamente inadeguato alle esigenze del benessere collettivo, e ben lontano dal costruire un punto di sostegno al percorso di sviluppo del sistema industriale italiano. Va sottolineato, infatti, che settori come quello idrico, quello energetico e quello della raccolta e trattamento dei rifiuti non solo sono fondamentali per migliorare il benessere delle collettività, ma sono anche essenziali per consentire una crescita delle “prestazioni” del paese dal punto di vista degli investimenti, della capacità competitiva con gli altri paesi e per favorire lo sviluppo delle attività produttive.
I principali ostacoli alle realizzazione di una seria riforma sono stati da un lato l’approccio strumentalmente demagogico che in questi ultimi tempi ha caratterizzato la generalità delle forze politiche e il conseguente diffondersi a livello generale di una cultura antindustriale e dall’altro il permanere di piccoli interessi di bottega di una classe politica tuttora ancorata ad un idea di potere ormai largamente superata dall’evoluzione delle moderne società occidentali.
Il livello di arretratezza e di ritardo di questi servizi è una palla al piede straordinaria per il nostro sistema industriale e, conseguentemente, è una delle cause non secondarie che hanno determinato la caduta di capacità competitiva delle imprese.
Fa piacere che il commissario Cottarelli abbia recentemente messo sotto l’occhio della pubblica opinione le palesi storture del sistema di gestione dei servizi pubblici locali, evidenziando la straordinaria numerosità delle aziende di gestione, la loro cronica inefficienza, l’elevato numero delle aziende a capitale interamente pubblico che presentano gestioni strutturalmente in perdita. Per evidenziare lo stato di arretratezza del settore rispetto alla media europea sono sufficienti alcuni dati.
Nel settore del trattamento dei rifiuti siamo ai primi posti in Europa per uso delle discariche, notoriamente il sistema più inquinante in assoluto, e siamo agli ultimi posti sia per la raccolta differenziata sia per l’uso dei moderni impianti di termovalorizzazione dei rifiuti. L’uso dei moderni termovalorizzatori, accanto alla raccolta differenziata è la prassi comune in tutti i paesi europei. La assoluta innocuità delle loro emissioni è un fatto assodato sia sul piano degli studi epidemiologici che delle ricerche sul campo.
E’ talmente vero tutto ciò che nelle grandi città europee questi impianti di enormi dimensioni vengono localizzati nei centri delle aree urbane; Parigi, Vienna, Copenaghen sono alcuni degli esempi più clamorosi. Da noi la demagogia imperante ha fatto sì che si considerino questi impianti come mostri dannosi per la salute e portatori di tumori collettivi. Ma allora o i danesi, i francesi, gli olandesi e gli austriaci sono pazzi incoscienti, oppure la facile demagogia da noi prevale sulla serietà di analisi. Purtroppo non ricordo nessuna forza politica che abbia avuto il coraggio di affrontare il tema con un approccio riformista che racconti alla gente come stanno realmente le cose. A Napoli, per esempio si è dato per parzialmente risolto il problema dei rifiuti solo grazie al funzionamento dell’inceneritore di Acerra e agli inceneritori tedeschi ed olandesi che trattano i rifiuti di quella città a costi assai elevati, dopo tutti i proclami dell’attuale sindaco su irrealistiche e fantasiose percentuali di raccolta differenziata mai raggiunte.
Ancora più eclatante è il caso del settore idrico. Lo stato delle reti e degli impianti è sotto gli occhi di tutti: perdite di rete tra il 35 e il 40%, il 30% della popolazione non allacciata a impianti di depurazione e quasi il15% non allacciata a sistemi fognari. Insomma, uno stato del sistema idrico italiano più vicino al Terzo mondo che al resto dell’Europa. Ebbene cosa si fa per affrontare questo problema drammatico, per salvaguardare il bene comune acqua e la salute della popolazione? Si fa un bel referendum sull’acqua pubblica e contro la remunerazione dei capitali investiti per finanziare gli investimenti di cui il settore ha cronico bisogno! Una vera follia finalizzata a contrastare gli investimenti privati nel settore favoleggiando di risorse pubbliche da detenere e investimenti del tutto inesistenti. Tutto questo contro la “logica del profitto” con un approccio demagogico degno di miglior causa.
Nessuna forza politica ha avuto il coraggio di raccontare alla gente che le tariffe del servizio idrico in Italia sono le più basse d’ Europa (dopo di noi solo la Romania) e che sono quattro cinque volte inferiori alle tariffe che pagano i cittadini danesi, tedeschi e francesi, dove però le perdite di rete oscillano tra il 7 e il 15%, e sono completamente allacciati a moderni impianti di depurazione. Questo ovviamente perché le tariffe più alte hanno consentito, a quei paesi, di fare gli investimenti necessari per adeguare il servizio idrico.
In questo straordinario processo di disinformazione si sono distinti alcuni dei più autorevoli quotidiani nazionali che hanno a più riprese gridato allo scandalo a fronte di denunciati aumenti delle tariffe dell’acqua senza mai una volta evidenziare che dai noi un metro cubo d’acqua costa circa un euro e mezzo contro i quattro euro della Francia e i sei euro della Danimarca.
Infine non meno “esemplare” è il caso del settore energetico in cui le scelte demagogiche dei vari governi hanno portato al risultato che il costo dell’energia nel nostro paese è di circa il 25/30% superiore alla media europea, con un danno evidente non solo per i cittadini, ma soprattutto per le imprese che devono competere sui mercati partendo con una fondamentale componente di costo più elevata rispetto al resto delle imprese europee.
Anche in questo caso un approccio ideologico ha fatto sì che in anni assai recenti si sia iperincentivata la realizzazione di impianti fotovoltaici (oltre 100 miliardi di euro) tanto che oggi l’Italia è il secondo paese in Europa per energia prodotta da fotovoltaico. Peccato che il costo di quegli incentivi sia a carico delle tariffe dell’energia elettrica (la famosa componente “A 3” che vediamo in bolletta) pagata da tutti i cittadini e, soprattutto dalle imprese.
Si aggiunga che una così rilevante componente di energia viene prodotta solo di giorno e quanto splende il sole, rendendo indispensabile il ruolo delle centrali a turbo gas per compensare la domanda di notte e in caso di mal tempo, ma rendendo al contempo tali centrali del tutto sottoutilizzate e fonte di perdita certa per i gestori, perché non possono operare con continuità a pieno regime.
Questi gli effetti devastanti della demagogia imperante, ai quali vanno sommate le resistenze corporative e le rendite di posizione dei potentati locali, che impediscono il superamento di modelli gestionali basati su una polverizzazione degli enti gestori, fonte di inefficienza e di sprechi evidenti di risorse.
Il dibattito che ha tenuto impegnata la gran parte delle forze politiche sulla prevalenza del modello a totale partecipazione pubblica delle aziende di gestione dei servizi pubblici locali fa parte di una cultura risalente al dibattito di inizio Novecento più che a un moderno approccio finalizzato alla individuazione di gestori efficienti in grado di realizzare performances adeguate ai modelli europei.
I risultati stanno a dimostrare che adeguate dimensioni dei gestori, in grado di realizzare sufficiente massa critica, sono condizioni imprescindibili.
Superare ogni approccio ideologico e le resistenze corporative sono le uniche condizioni per rilanciare un settore così strategico. Ci vuole, da parte del governo, coraggio, determinazione e la messa in pratica di una politica autenticamente riformista. Meno annunci rivoluzionari e più fatti riformisti.
Maurizio Chiarini tratto da www.ilcampodelleidee.it
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