Un’idea semplice: il piano invasi
Eppure è semplice. Non si tratta di costruire centrali nucleari e nemmeno di ottenere la fusione dell’atomo, ma di realizzare opere idrauliche di raccolta delle acque piovane che smorzino la portata di fiumi e torrenti nei periodi di intense piogge e conservino l’acqua nei periodi di siccità. Si tratta di qualcosa di prevedibile e programmabile che doveva essere fatto già decenni fa, ma di cui si parla oggi come se fosse chissà quale scoperta. Gli esseri umani hanno sempre costruito opere idrauliche. Perché nell’Italia di oggi non si fa? Perché non si è fatto finora? Basta una veloce ricerca in rete per trovare progetti, relazioni, documenti, articoli e farsi un’idea di quale ritardo la classe dirigente di questo Paese sia responsabile. Prendiamo un articolo di Giorgio dell’Orefice pubblicato sul Sole 24 Ore il 30 gennaio.
Si parte da una constatazione: “Nemmeno un anno di siccità record come il 2022 ha finora smosso granché. L’Italia sconta pesanti difficoltà nella gestione della risorsa idrica che in passato venivano mascherate dietro l’abbondanza delle precipitazioni (sia pioggia che neve), ma che invece ora, con il cambiamento climatico, appaiono d’un tratto non più sostenibili.(…) E’ necessario correre rapidamente ai ripari. Le risorse non mancano”. Il fatto è che l’Italia recupera solo l’11% della pioggia e ci sono due facce del problema: una è che non ci sono riserve di acqua per l’agricoltura in estate e l’altra è che l’acqua finisce tutta negli alvei di fiumi e torrenti per arrivare fino al mare e tracima allagando paesi, campi, strade.
Esiste un piano dell’associazione dei consorzi di bonifica e gestione del territorio e delle acque irrigue (Anbi) per la realizzazione di 10mila invasi di piccola e media dimensione per portare quella percentuale dell’11% al 30% entro il 2030. Il piano prevede che la maggior parte degli invasi siano aziendali e realizzati con il cofinanziamento pubblico.
Si prevede non solo di scavare per i laghetti, ma anche di riutilizzare le cave abbandonate. Oltre a queste il piano contempla anche le “casse di espansione”, ovvero le aree di allagamento ai margini dei fiumi, che con la piena vengono sommerse ma che con piccoli interventi possono conservare l’acqua e trasformarsi in oasi naturalistiche con riserve idriche cui attingere in caso di necessità.
In Italia ci sono inoltre molte dighe che andrebbero ripulite per aumentare la capacità di trattenere le acque. Nell’articolo si cita il caso delle opere realizzate dalla Cassa del Mezzogiorno che hanno sostenuto l’agricoltura nell’estate 2022.
Tutto molto ragionevole e semplice. La domanda è una sola: chi si è fatto carico nei decenni passati del regime delle acque? Chi ha pensato a programmare interventi ed opere per prevenire esondazioni, alluvioni e siccità? È l’ennesima conferma che l’Italia ha un drammatico problema di classe dirigente nelle sue componenti politiche e amministrative. Il risultato è che il Paese appare allo sbando, abbandonato a se stesso da poteri pubblici autoreferenziali e irresponsabili
Claudio Lombardi
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