Accelerare sui vaccini: è solo una questione di conoscenza?

Sin dall’inizio di questa epidemia alcune tra le più autorevoli testate scientifiche hanno cercato di raccogliere e presentare le opinioni degli scienziati e di quanto emergeva dai numerosi lavori. Ovviamente era in atto e continua ancora un ampio dibattito su molti aspetti.

Di conseguenza il modo migliore per contribuire efficacemente ad una corretta informazione è quello di suddividere le affermazioni in tre classi:

  1. Cosa sappiamo, ovvero cosa è stato affermato e provato con argomentazioni e fatti, ed è condiviso dalla stragrande maggioranza degli scienziati. Ad es. il modo con cui il coronavirus attacca le cellule o come si diffonde. Una rassegna si può trovare qui. Naturalmente le nostre conoscenze evolvono e possiamo anche trovare smentite o precisazioni di fatti che sembravano assodati.
  2. Cosa pensiamo possa essere vero, ovvero quelle affermazioni che pur essendo delle ipotesi o delle ricerche in corso, hanno già trovato delle conferme pur parziali e sono in corso di verifica da parte di altri team o hanno necessariamente bisogno di tempo (ad es. quanto dura l’immunità per chi è già stato malato).
  3. Cosa speriamo possa essere vero, quello che sulla base di situazioni analoghe ci porta a sperare che accada anche questa volta, ad es. che il coronavirus possa mutare verso una forma meno aggressiva come l’influenza stagionale (un dibattito al riguardo è riportato dalla rivista Nature).

In quali classi si collocano le affermazioni sui vaccini?

  1. Sappiamo che alcuni vaccini offrono una efficace copertura rispetto alla malattia. Questa è l’affermazione che un vaccino, somministrato con modalità e quantità adeguate, offre una copertura per una data popolazione (ad es. fascia di età) dal COVID o dalle forme gravi della malattia. Queste sono le affermazioni che le autorità nazionali e sovranazionali analizzano per autorizzare una terapia o una campagna di vaccinazione.
  2. Pensiamo che si possa dilazionare oltre il periodo previsto dai trial clinici la somministrazione della seconda dose. Questa scelta è condivisa da molti scienziati, sono apparsi i primi studi che la sostengono. È quindi un fatto comunemente accettato o verificato con le procedure tipiche di una agenzia del farmaco? NO, il dibattito è in corso come riportato su scienzenews e scientificamerican.
  3. Speriamo che chi è vaccinato non possa essere un portatore sano dell’infezione. Speriamo che sia facile adattare i vaccini tempestivamente rispetto all’emergere delle varianti, magari producendo nuove versioni ogni anno.

E allora come devono agire i nostri governanti? È forse sbagliato procedere con l’utilizzare tutte le dosi di vaccino disponibili per la prima dose senza preoccuparci di tenere come riserve le seconde dosi?

Non si può dire che sia una scelta errata visto come sembra stia andando nel Regno Unito (dove però è in corso un lungo lockdown), ma occorre avere ben chiaro che si tratta di una scelta, una scelta politica e questo non va considerato come un fatto negativo. L’importante è che anche questo venga comunicato correttamente. Questo comporta anche la corretta gestione delle informazioni, evitando di passare dal ritardare la seconda dose a non farla, o non proseguire sulla strada della maggiore produzione dei vaccini approvati.

La scienza ha il primato sulla conoscenza, ma non ha voce in capitolo su come utilizzarla per il governo del mondo. La politica, alla quale spetta questo compito, ha però il dovere di utilizzare al meglio le conoscenze messe a disposizione dalla scienza. Non deve negarla né stravolgerla dando ascolto, per esempio,  ai no-vax, ai seguaci dei trattamenti sanitari proposti dai millantatori o a chi minimizza la pandemia. Deve invece fornire alla scienza le migliori opportunità per il suo sviluppo ed ascoltarla operando affinché queste attività dell’intelletto umano cooperino ciascuna nella propria sfera di responsabilità.

Le scelte devono essere tempestive e vanno fatte, ma utilizzando al meglio le conoscenze disponibili

Claudio Gasbarrini

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