La scienza dallo spazio alla terra: credibilità e paure

Ha avuto molto risalto una recente impresa scientifica nel nostro sistema solare. Una sonda della NASA lanciata a novembre 2021 in circa 10 mesi ha colpito come un kamikaze un piccolo asteroide lontano 11 milioni di km per vedere se si riusciva a deviarne la traiettoria. Come ha testimoniato con varie fotografie una sua componente realizzata dall’Italia, l’impresa è riuscita modificando la traiettoria del bersaglio.

Questa missione è servita come verifica di un eventuale missione di salvataggio nel caso la terra venisse minacciata da un’astronave. Ma questa eventualità non è al momento prevista prima del prossimo secolo.

Quindi siamo in grado di prenderci cura del nostro lontano futuro grazie a conoscenze, capacità realizzative e pianificazione.

Ma allora perché quando proviamo ad affrontare con lo stesso approccio situazioni critiche nel presente e nel futuro prossimo come la pandemia o il riscaldamento climatico nascono forti movimenti di opinione che vanno dallo scetticismo all’aperto contrasto? Come, se quando si tratta di cose lontane, la ricerca della conoscenza sembra un bel gioco da apprezzare come un film di fantascienza, mentre appena ci si cala nel mondo reale più prossimo, scattano meccanismi di autodifesa?

Sulle cause di questo atteggiamento cerca di far luce Enrico Pedemonte in un recente libro “Paura della scienza” esaminando le varie motivazioni di questo sentimento.

Una prima considerazione riguarda l’impatto che le conoscenze scientifiche hanno sulle nostre convinzioni più profonde, come la religione. È questo il caso del movimento creazionista che negli USA ha un forte seguito e rifiuta la teoria dell’evoluzione perché contrasta con la versione della creazione fornita dalla Bibbia che ha molto seguito nelle popolazioni degli stati centrali degli USA.  I creazionisti arrivano a costituire un museo della creazione che segue la loro visione e proporre ardite modifiche alle leggi della scienza pur di confermare il testo letterario della Bibbia (come affermare che leggi fondamentali varino nel tempo). In questo modo si rifugiano in un proprio mondo per difendersi dalle mutazioni socio-culturali degli ultimi decenni e rifiutare ogni apertura rispetto alla tradizione come l’omosessualità o la parità uomo-donna.

Un meccanismo analogo è scattato verso indicazioni pratiche fornite dalla comunità degli scienziati per il COVID come la necessità di limitare le libertà individuali per limitare il diffondersi di malattie o l’obbligo delle mascherine. Sono misure che impattano sul nostro modo di vivere e il loro istintivo rifiuto porta a creare narrazioni senza fondamento.

Ma la scienza è anche il motore dell’innovazione e quindi del progresso e dello sviluppo economico. Quando però è il profitto che si appropria dei risultati sorgono situazioni pericolose: si può utilizzare la scienza per creare o magnificare prodotti che in realtà sono inutili o peggio dannosi come il curioso pedoscopio che ha recato molti danni con le radiazioni nella prima metà del secolo scorso. L’interesse dell’industria per le applicazioni ha portato a far primeggiare la ricerca privata che dispone di più del doppio dei fondi quella pubblica. I finanziamenti dell’industria del tabacco per contrastare le ricerche sulla pericolosità del fumo o dell’industria petrolifera che ha cercato di smontare le previsioni sul riscaldamento globale sono casi ben noti.

La scienza è sempre più lontana dall’esperienza quotidiana e le sue ricerche sempre più complesse. Di fronte ad una comunicazione sulla rete che si affida a pochi caratteri o corti video, il tentativo di argomentare o spiegare si infrange rispetto a chi pretende di dire la sua solo basandosi su aneddoti, casi sporadici o sul sentito dire.

È questo lo spazio che si apre ai negazionisti che traggono ispirazione dalla sfiducia nei competenti; questi sono visti come espressione di un potere non democratico. Hanno però buon gioco quando le differenze tra esperti dovute alla diversità di approcci e punti di vista, che dovrebbero avere le peer review e i congressi come momento naturale di confronto, sono sostituiti da tweet, talk show e relativi insulti.

E qual è il rapporto tra scienza e filosofia? Negli ultimi decenni i filosofi post-moderni hanno criticato le grandi narrazioni e sono arrivati a mettere in discussione il rapporto tra sapere e potere. E questo ha impattato anche il sapere scientifico visto come strumento militare ed economico e come portatore di una nuova religione. È così nato il rifiuto verso le affermazioni scientifiche considerate creazioni artificiali e dannose. Era questa una critica “da sinistra” alle élite e ai poteri costituiti.

Ma con il passare del tempo la cultura più diffusa nelle università americane ed europee ha virato verso il progressismo aprendosi alla critica sociale ed alla inclusione. Quindi anche la critica verso le élite ha cambiato verso e in tempi recenti sono considerate come tali anche le organizzazioni europee o transnazionali. Questa impostazione critica si trova anche nei movimenti che negano il riscaldamento climatico e nei negazionisti del COVID. Paradossalmente le forze nazionaliste e di destra hanno fatto proprie queste istanze originate da una critica “di sinistra”.

E gli scienziati aiutano la scienza, ovvero la sua diffusione, la condivisione di scelte motivate dalla conoscenza dei fenomeni? Purtroppo non è sempre cosi, e questo non solo perché come esseri umani non sono esenti dalle debolezze, ma per effetto della lotta per i finanziamenti che porta ad accelerare la pubblicazione dei risultati ed a cercare la massima visibilità, magari sacrificando la trasparenza. E come spesso accade bastano pochi episodi a screditare una comunità.

Nel migliore dei casi l’industria privata anche senza indirizzare i risultati ha il suo interesse a selezionare i campi di ricerca. È comunque vero che alla lunga il metodo della replicabilità dei risultati e delle verifiche indipendenti la vince, ma ciò non impedisce che nel frattempo affermazioni false e risultati parziali o contrastanti abbiano il loro momento di gloria. È il caso della ricerca che riportava l’autismo come conseguenza della vaccinazione che, pubblicata nel 1998, è stata formalmente ritirata da Lancet solo nel 2010. E chi ha dato il colpo definitivo è questa vicenda è stata un’inchiesta giornalistica del 2004 che evidenziava sia interessi economici dell’autore sia l’impiego di dati falsati.

Dall’analisi puntuale di numerosi episodi riportati nel libro emerge come la scienza non sia solo una sublime attività che opera per il bene dell’umanità. La diffidenza verso il razionale ha radici e motivazioni profonde che vanno analizzate e considerate. La paura della scienza può essere vista anche come una parte della rabbia che anima molti nei confronti dell’attuale situazione sociale ed economica. Nonostante questo la scienza è ancora il miglior metodo per poter affrontare le più importanti sfide dell’umanità, dalla lotta alla povertà, alle malattie, alla conservazione della natura ed al riscaldamento globale.

Ricercatori e scienziati debbono impegnarsi per non considerare la comunicazione e la divulgazione una perdita di tempo, soprattutto quando devono essere presentate le proposte che hanno impatto sulla società. Proprio perché la scienza possa contribuire alla democrazia e non sia una prerogativa di pochi, nasce l’obbligo per i cittadini di informarsi, di non fermarsi allo strillo del giornale o delle news sui social, ma di provare a entrare nel merito per poter scegliere con cognizione di causa.

Ma mentre sembra che con buone pratiche e l’impegno di più parti il rapporto tra scienza e società possa migliorare e forse anche la politica si muove (vedi il patto trasversale per istituire un comitato scientifico su clima e ambiente), la ricerca e la tecnologia non stanno ferme: da alcuni anni c’è una evoluzione che sta avendo e promette (o minaccia?) un impatto senza precedenti sulla società, sul lavoro, sull’economia e su ciascuno di noi: l’intelligenza artificiale.

Claudio Gasbarrini

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