Il caso Roma: come non si amministra la cosa pubblica
Non si parla solo del presente, ma anche del passato che, però, ne costituisce l’inevitabile e forse inesorabile base. Roma può essere un caso esemplare di come non si deve governare, un condensato di tutti quei vizi italiani che sgretolano la macchina amministrativa, che distruggono risorse e con queste la fiducia dei cittadini, che affermano di fatto la cultura dell’illegalità e del clientelismo perché mostrano che alla fine risultano sempre vincenti.
Sia chiaro, Roma non è il caso peggiore in Italia, ma è la capitale e dovrebbe dare l’esempio.
Lo spunto per queste considerazioni ce lo da’ una relazione degli ispettori del Tesoro inviati (ma anche invitati dal sindaco Marino per la verità) a controllare la situazione dei conti del Comune.
Il periodo esaminato dagli ispettori va dal 2008 al 2013 e coglie in pieno la gestione Alemanno, ma implicitamente parte dalla conclusione della gestione Veltroni che chiude un quindicennio di giunte di centrosinistra.
Ebbene il quadro è sconcertante: spesa corrente fuori controllo perché sempre di molto superiore alle entrate. Costi dei contratti di servizio gonfiati. Premi e incentivi ai dipendenti concessi violando norme e contratti collettivi. Assunzioni viziate da “evidenti irregolarità”, spesso a beneficio di “soggetti sprovvisti dei requisiti”. Assunzioni dei collaboratori di staff, con stipendi “doppi rispetto alla retribuzione tabellare”.
Ovviamente le contestazioni si concentrano sulla gestione Alemanno che, appena eletto, chiese soccorso al governo per tappare il buco di bilancio lasciato da Veltroni (e che ancora ci porteremo dietro, noi cittadini, per molti anni visto che lo paghiamo con le nostre tasse).
Secondo gli ispettori: “E’ stata evitata ogni decisione volta ad adeguare il livello e il costo dei servizi forniti dall’ente alle reali disponibilità di bilancio, riproducendo quei comportamenti che avevano portato ad uno stato di sostanziale default nell’anno 2008”. E così il quindicennio delle giunte di centrosinistra avrebbe portato “al sostanziale default” della città cioè al fallimento (per parlare italiano) ed Alemanno ha continuato a spendere più di quello che c’era in bilancio.
La relazione si sofferma sulle “palesi violazioni alle norme di legge e contrattuali, in particolare per quanto riguarda il trattamento accessorio del personale dipendente” e “le assunzioni”. Il Sindaco non ha fatto nulla “per riportare la gestione nell’ambito della legalità”.
La relazione non si ferma qui e prosegue giudicando “Particolarmente gravi le modalità di affidamento dei servizi legati al sociale e in favore della società Multiservizi”, avvenuti “in palese contrasto con il contesto normativo vigente e con modalità ben poco trasparenti”.
Dunque una spesa volutamente fuori controllo e pure accompagnata da un’altrettanto pessima gestione delle entrate patrimoniali con “percentuali di riscossione estremamente basse”.
La conclusione degli ispettori equivale ad una condanna della politica romana che ha gestito il Comune. “Quanto rappresentato evidenzia chiaramente come per il proprio risanamento Roma Capitale abbia fatto totalmente affidamento sull’intervento statale, senza realizzare in proprio alcuno sforzo per riportare in equilibrio i conti, nemmeno quando si trattava di far cessare comportamenti illegittimi”.
Gli ispettori osservano anche che nemmeno il cambio di sindaco e di maggioranza politica in Consiglio ha prodotto un cambiamento il che li porta ad un giudizio negativo: “l’attuale amministrazione, in linea con i comportamenti precedenti ha dimostrato una notevole celerità nell’avanzare richieste di supporto finanziario allo stato mentre ben poco ha fatto per attivare le entrate proprie”.
Nel valutare il risultato dell’ispezione dei conti romani bisogna tener conto che la finanza locale è stata disastrata dalle politiche di rigore di questi anni e dal Patto di stabilità interna. Probabilmente molti dei comportamenti osservati dagli ispettori sono praticati in altri comuni e derivano dalle scelte politiche nazionali.
Tuttavia il quadro resta sconcertante e contiene gli elementi di uno stile di governo che ha portato l’Italia ad un debito pubblico pari al 135% del Pil senza che ciò significasse sviluppo o miglioramento delle infrastrutture del Paese. Purtroppo i vizi del clientelismo, delle pratiche illegali, dell’uso arbitrario dei poteri istituzionali hanno rappresentato il carattere distintivo del “modello” italiano ampiamente confermato dalle cronache giudiziarie di molti anni. Conseguenze evidenti a tutti di questo deficit di cultura di governo la drammatica caduta di produttività, l’inefficienza generale, lo strappo nella coesione sociale.
Chi sente l’esigenza di un cambiamento vero dovrebbe riflettere seriamente su tutto ciò
Claudio Lombardi
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