Nessuna austerità: spendiamo troppo e male
È convinzione diffusa, qui in Italia, di vivere in periodo di profonda e imposta austerità e che quindi la nostra spesa pubblica sia, rispetto ad altri Paesi, molto inferiore. È così? Spoiler: no, manco per niente.
Guardiamo i dati, fonte Eurostat (https://tinyurl.com/2s3ur4yh ) e relativi ai Paesi europei (tabella 1, consiglio la lente d’ingrandimento). Viene riportata la spesa pubblica in rapporto al PIL, e si vede che l’Italia ha la spesa pubblica maggiore a parte la Francia. È pari (nel 2022) al 56,1% del Prodotto Interno Lordo, vale a dire molto più della metà. È molto maggiore, per dire, di Paesi che hanno servizi pubblici al cui confronto i nostri fanno ben misera figura come la Germania, che è al 49,5%, o la Svezia, al 47,6%, Paesi con un welfare che qui ci sogniamo la notte.
Quindi: la nostra spesa pubblica non è affatto minore di quella degli altri, anzi.
Ma uno potrebbe dire: vero, però la spesa è molto diminuita, sono decenni che, per colpa dell’austerità, tagliamo tutto. Manco questo è vero (figura 2). La spesa pubblica italiana è schizzata in alto tra il 2020 e il 2022 (anni Covid), ma vediamo che nel trentennio precedente, non è mai diminuita sostanzialmente. Lo fece solo poco prima del 2000, ai tempi dell’ingresso nell’Euro, quando passò dal 51,6% del 1995 al 46,5% del 2000. Ma poi, col nuovo millennio, ha ripreso ad aumentare, esplodendo (causa Covid, come detto, nonché bonus vari) negli ultimi anni.
Quindi: la nostra spesa pubblica non è affatto diminuita costantemente, anzi.
E allora, se la nostra spesa è molto alta, e se la nostra spesa non è diminuita affatto negli ultimi decenni, da cosa deriva questa sensazione di ristrettezza continua e la convinzione che si viva in periodi di austerità spietata? Probabilmente dal fatto che la nostra spesa pubblica è una cattiva spesa pubblica, vale a dire che non dà i risultati attesi.
Cominciamo a vedere il trucco nella figura 3, che riporta la spesa pubblica italiana per funzioni di spesa in raffronto a quella media degli altri 26 Paesi UE. Vediamo che la spesa italiana è molto maggiore di quella europea in due voci particolari: le spese generali e quelle per protezione sociale. Perché? Perché in queste due voci si annidano gli interessi sul debito pubblico (che sono nelle spese generali) e la spesa per pensioni (protezione sociale).
Prendiamo il debito pubblico. Nel 2022 la nostra spesa per interessi è stata del 4,4% del PIL (ancora tabella 1, ancora lente di ingrandimento), quella media europea dell’1,7%. Circa 2,7 punti di PIL in più. Per quantificare, il PIL, nel 2022, è stato di 1.900 miliardi circa, quindi un punto di PIL sono 19 miliardi, quindi quei 2,7% di PIL in più (ripeto: in più rispetto alla media) che paghiamo di interessi sono stati, per noi nel 2022, oltre 50 miliardi.
Poi c’è l’altra voce, le pensioni. Sommando le due voci di pensioni per anzianità e vecchiaia (old age nella tabella linkata) e reversibilità (survivors), abbiamo che, nel 2022, abbiamo speso il 16,2% di PIL (altro record europeo). La media europea, per queste due voci, è stata dell’11,9%, 4,3 punti di PIL in meno, fate i conti come sopra, e sono altri 80 miliardi. Questo fa sì, tra l’altro, che le nostre spese sociali non per pensioni (cioè per il welfare) siano quindi minori di quelle di altri Paesi, perché lì concentrate, alla voce pensioni.
La conclusione è quindi ovvia. Noi partiamo con una zavorra di pensioni e debito pubblico che gli altri Paesi, in media, non hanno: nel 2022, come detto, partiamo con circa 130 miliardi in più. Avendo questa zavorra, siamo costretti ad alleggerire altre spese. E infatti vediamo che siamo sotto la media nelle altre, in particolare in quelle che considero le fondamentali: scuola e sanità. (Poi, volendo, si potrebbe aprire una gigantesca parentesi chiedendosi se questa spesa sia anche efficiente, cioè ben gestita. Ma qui non la finiremmo più: fermiamoci solo all’aspetto quantitativo).
Tiriamo le fila. Il nostro problema non è che spendiamo poco, anzi, spendiamo più di quasi tutti. Il problema è che una buona parte della spesa, che potrebbe andare in letti d’ospedale e banchi di scuola, se ne vola in interessi e pensioni e, di queste, molte sono pensioni elargite ante riforme Fornero et similia.
Cosa fare quindi? La spesa per pensioni è assai difficilmente comprimibile (a meno di ipotizzare future e pesanti inflazioni). Le riforme hanno cercato di ridurne il peso, ma vedremo i risultati molto in là, anche perché nei prossimi anni ci troveremo a sbattere il grugno contro il problema demografico per cui, a fronte di molti pensionati (per quanto “riformati”), ci saranno pochi lavoratori. Per diminuire la spesa per interessi, invece, c’è una sola strada: contenere il debito pubblico.
Si capisce quindi il circolo vizioso nel quale siamo intruppati. Noi, per le ragioni dette, vediamo, per esempio, minore spesa per sanità e scuola. La prima reazione è quindi quella di chiederne l’aumento, ma se questo non avviene diminuendo altro, l’effetto finale sarebbe l’aumento del debito pubblico. Il quale comporterebbe aumento degli interessi e ci ritroveremmo al punto di partenza, con una zavorra ancora più appesantita. E dato che a chiedere aumenti siamo buoni tutti, ma a prospettare diminuzioni compensative no, ecco lo stallo in cui siamo da lustri.
Non ci sono, insomma, facili soluzioni, nonostante ciascuno lanci il proprio slogan, sia esso la pesante patrimoniale o lo stop al pagamento di interessi o il pagamento del debito da parte di altri Paesi europei o della BCE: tutte misure che avrebbero effetti collaterali non presi in considerazione (tipo il default, l’ulteriore fuga di capitali dall’Italia o un’epidemia di casi di morte da risata – https://tinyurl.com/mrxhfy4j – negli altri popoli europei). La soluzione (si fa per dire) sarebbe solo quella di controllare al centesimo le risorse che si spendono, in modo da garantirne la massima efficienza. Ma questo presupporrebbe una dirigenza pubblica (politica e tecnica) che a) sia capace di perseguire l’obiettivo e b) abbia la voglia di farlo, e sono entrambe condizioni impervie.
Ma, soprattutto, servirebbe un elettorato che faccia pace con la realtà e ne prenda atto, invece di inseguire i soliti gatto e volpe che promettono la crescita dei soldi sugli alberi. Ma questa, di tutte, è la condizione meno realizzabile e verosimile, dato lo stato del Paese e della sua opinione pubblica.
Jack Daniel (da facebook)
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