Ucraina: l’invasione della Crimea e la guerra in Donbass (3)

Alcuni estratti da un articolo di Andrea Braschayko pubblicato su www.valigiablu.it. Terza parte. Qui la prima parte e Qui la seconda

Il ruolo dei battaglioni volontari nei crimini di guerra e l’estrema destra in Ucraina

Nelle settimane in cui viene proclamata l’Operazione Anti-Terroristica, lo Stato ucraino è in difficoltà su molti fronti. I russi scelgono di forzare la mano nel periodo più vantaggioso per il raggiungimento dei loro obiettivi: la destabilizzazione definitiva di un paese sull’orlo del collasso economico e sociale.

Il sostegno occidentale all’Ucraina è puramente di facciata: dietro vuote promesse di integrazione futura nell’Unione Europea, si cela il timore dei principali paesi europei – Germania, Francia e Italia su tutti – di contrastare l’espansionismo di Vladimir Putin, nella speranza di superare l’empasse senza ripercussioni – se non nei rapporti diplomatici, per lo meno in quelli commerciali – come dopo la crisi georgiana nel 2008. Il presidente statunitense Barack Obama è tutt’oggi criticato per la poca risolutezza nei confronti della Russia, condizionato pure dall’evolversi della guerra civile siriana.

Internamente, l’esercito ucraino è demotivato, dopo anni di tagli, e si trova allo sbando: il 90% degli equipaggiamenti è usurato, le principali catene logistiche partono proprio dalle manifatture e industrie nell’Est del paese, mentre una minoranza di coscritti, etnicamente russi oppure provenienti dalla Crimea e dal Donbas, deve ancora decidere con quale parte schierarsi.

Proprio come nel 2022, attraverso crowdfunding e volontariato dal basso, la società civile sostiene il proprio esercito nell’acquisto di materiali di base per respingere la minaccia russa, come viene già definita dalla maggioranza degli ucraini nel 2014, che fin da subito si rifiutano di dare qualsiasi rappresentatività ai “terroristi”, visti come delle marionette nostalgiche in mano a Putin.

Alcuni ucraini sono pure pronti a imbracciare le armi per supplire alla carenza di soldati nell’esercito regolare, che nel frattempo ha avviato la prima di numerose campagne di mobilizzazione.

epa04318197 New soldiers of Ukrainian army battalion ‘Azov’ attend their oath of allegiance ceremony before departing to eastern Ukraine in Kiev, Ukraine, 16 July 2014. The government in Kiev does not recognize the declared independence of the Donetsk and Luhansk regions, and pro-Russian militants refuse to cooperate with the pro-European leadership in Kiev. Ukraine insisted that there would be no ceasefire or negotiations before the pro-Russian separatists in the country’s east give up their arms. EPA/ROMAN PILIPEY

Si arruolano come volontari cittadini comuni in difesa della propria terra, ma anche nazionalisti, spesso di estrema destra e, nel caso di alcuni volontari provenienti dalle più violente curve ultras, neo-nazisti, in quell’eterogeneo calderone paramilitare che darà vita ai battaglioni Azov, Aidar, Dnipro-1, Donbas, Slobobozhanschyna, Shakhtars’k, fra gli altri.

Sono praticamente dei battaglioni territoriali: la maggioranza dei volontari iniziali sono nazionalisti residenti nelle province russofone, e infatti la lingua più utilizzata al loro interno è il russo. (….) Alcuni battaglioni, come Dnipro-1 e in parte Azov, si sono sviluppati all’interno delle milizie di vigilanza private al servizio degli oligarchi sin dagli anni ‘90.

La propaganda russa ha spesso insistito sul ruolo di questi battaglioni nella guerra in Donbas, così come sulla loro influenza sulla politica interna ucraina. In realtà, il rapporto tra Stato e battaglioni paramilitari è stato ben più complesso, ma lungi dall’essere limpido.

Molti combattenti di estrema destra vicini a Pravij Sektor e al suo capo Dmitrij Jaroš, rifiutarono di stare agli ordini del ministero degli Interni di Arsen Avakov, colpevole nella loro ottica di reprimere i patrioti ucraini dopo Maidan. (….)

Ciò che è certo, è che in seguito al 2014 si assistito a un’ascesa nell’autorevolezza dei battaglioni paramilitari, per l’ovvia motivazione di contrasto al separatismo e all’ingerenza russa nel paese – in particolar modo sotto la patina di una retorica patriottica applicata anche alla vita civile. Al contempo, la risposta delle autorità ucraine verso i combattenti macchiatisi di violazioni dei diritti umani e crimini di guerra si è rivelata spesso lenta e svogliata.(….)

È stato fondamentale il ruolo svolto dalla propaganda russa nello sfruttare quelle notizie provenienti dall’Ucraina e manipolabili per confermare una narrazione pre-esistente. (…)

In ogni caso, l’Ucraina ha per lo meno tentato di recepire l’invito alle indagini da parte delle organizzazioni internazionali, nel quadro di uno Stato di diritto, per quanto imperfetto, fragile e corruttibile.

Le sistematiche violazioni dei separatisti, invece, non hanno trovato nessun riscontro, poiché le autorità filorusse hanno fin da subito negato ogni ispezione da parte di osservatori indipendenti internazionali.(…)

Il più clamoroso crimine di guerra commesso dai filorussi è stato l’abbattimento del volo MH17 il 17 luglio 2014, in cui persero la vita 298 vittime civili, per lo più malesi e olandesi. La Russia ha fin da subito disseminato false teorie su un coinvolgimento ucraino, ma dopo anni di indagini indipendenti il tribunale olandese ha condannato Igor Girkin e altri due separatisti per aver dato l’ordine di sganciare il missile terra-aria Buk, appartenente alla 53ª brigata di difesa aerea della Russia di stanza a Kursk’.

I tre ricercati internazionali sono oggi liberi di girare, senza restrizioni né procedimenti aperti, nei territori separatisti, così come in Russia. (…)

Il genocidio (mai esistito) dei russofoni del Donbas: da dove nasce il mito russo?

Le accuse russe di genocidio nel Donbas sono state sempre molto generiche. A volte, il focus della persecuzione ucraina era quello linguistico, altre quello etnico e culturale, in alcuni casi, ancora, è stata richiamata la presunta divisione fra greco-cattolici e ortodossi.

Le narrazioni a favore dell’ipotesi genocidaria hanno spesso giocato sulle emozioni primordiali dell’opinione pubblica, anche utilizzando i bambini come strumento di propaganda. Nel luglio 2014 la Russia fabbricò una storia che diventò caso di scuola: “il ragazzino crocifisso (raspyatyj malchyk)”. Un video, comparso sul sito Eurasianist di Aleksandr Dugin (l’ideologo dell’eurasianesimo tradizionalista, una delle basi del nazionalismo russo contemporaneo), ritrae l’esecuzione di un bambino di tre anni nella piazza centrale di Slovyansk’ da parte di un soldato ucraino, di fronte agli occhi della madre.

Il servizio è montato ad arte e la donna in realtà è una comparsa che recita una parte, come dimostrato subito dai giornali di opposizione russi, fra cui Novaja Gazeta, ucraini e internazionali presenti a Slovyans’k. Verrà però trasmesso, per diversi giorni, dal primo canale statale e da Russia Today, come prova dei crimini ucraini. L’oppositore russo Boris Nemtsov, ucciso sei mesi dopo, riterrà questo come uno dei segnali di come Putin stesse inculcando ai russi la necessità di una guerra contro l’Ucraina.

I famosi “quattordici mila morti” di cui Kyiv sarebbe responsabile sono in realtà una manipolazione ampiamente smentita. Il numero, peraltro, conta i morti fra tutte le parti del conflitto: separatisti e soldati russi, vittime civili, volontari e arruolati nell’esercito di Kyiv – e la quasi totalità di esse avviene tra il 2014 e il 2015. Come ricorda il sito indipendente russo Meduza, nel 2021 “le Nazioni Unite hanno registrato 36 vittime civili nell’Ucraina orientale, la maggior parte delle quali causata da mine antiuomo e dalla gestione impropria di ordigni inesplosi”. (…)

Parlare di genocidio, al di là della sua definizione legale che nulla ha a vedere con la situazione in Donbas, è semplicemente insostenibile. Ciò è confermato da un’ordinanza del marzo 2022 emessa dalla Corte internazionale di giustizia delle Nazioni Unite.(…)

Nel 2015, invece, l’enfasi sul genocidio è servita per scaricare su Kyiv presunti peccati originali alla base del conflitto russo-ucraino. Le accuse rivolte dalla Russia sono sempre state prive di fondamento se non addirittura prefabbricate, come il documento che i diplomatici russi hanno fatto circolare alle Nazioni Unite sullo “sterminio della popolazione civile in Donbas”, oppure il famigerato “rapporto OSCE” ampiamente discusso e manipolato nella stampa italiana, in realtà inesistente.

Gli unici endorsement ricevuti da Mosca nelle proprie manipolazioni provenivano da alcuni accademici occidentali per vari motivi ai margini delle proprie discipline: analisti in cerca di notorietà nella fetta di pubblico antioccidentale, schierata su posizioni contro il cosiddetto mainstream, e che avevano già propagato teorie del complotto durante il conflitto siriano.

Sebbene dei report indipendenti abbiano effettivamente riscontrato delle violazioni dei diritti umani da parte di alcune unità di volontari al fianco dell’esercito ucraino, esse sono sempre risultate dei casi isolati rispetto alla sistematicità della accuse rivolte alle repubbliche separatiste appoggiate da Mosca, il cui coinvolgimento diretto è stato provato sin dall’inizio delle rivolte. Non è possibile dunque a nessun livello riscontrare uno o più degli elementi che definiscono il genocidio in base alla Convenzione cui aderiscono Russia e Ucraina.

(continua)

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